Walter Zenga, noto per il suo passato da portiere e allenatore, e per le esperienze in giro per il mondo, racconta la sua nuova avventura come club manager del Siracusa, svelando retroscena interessanti sul suo arrivo in Sicilia e le ambizioni del club.
L’intervista, firmata da Massimo Norrito e pubblicata nell’edizione odierna di Repubblica Palermo, ripercorre il percorso che ha portato Zenga nella città aretusea, la sua visione sul futuro del Siracusa e il rapporto speciale che ha con la Sicilia.
Tra i temi trattati, Zenga parla del modello da seguire per costruire un progetto ambizioso, citando l’esempio del Como, e condivide il suo amore per il territorio siciliano, ricco di bellezze e storia, che considera una seconda casa. Non manca un riferimento al suo passato da allenatore del Palermo, con il racconto del debutto in Serie A del portiere Salvatore Sirigu, che lui stesso lanciò durante la sua esperienza in rosanero.
Walter Zenga, lei è un giramondo che passa da Dubai all’Indonesia via Serbia. Come arriva a Siracusa dove oggi è club manager della società aretusea? «Tutto nasce questa estate. Ero a Siracusa per una trasmissione di Sky. Sono rimasto in città tre o quattro giorni durante i quali ho conosciuto il presidente Ricci, il direttore Guglielmino, il tecnico Turati. A loro ho detto: “Secondo me vi manca solo una figura di raccordo tra la squadra e il mondo esterno e dovreste fare un discorso di programmazione come il Como che dalla serie D è arrivato in A”. Loro mi hanno risposto: “Perché non lo fai tu”, e così è nata questa avventura».
Quindi l’obiettivo del Siracusa è la Serie A come il Como? «Andiamoci piano con i paroloni. Il Como è l’esempio di cosa, secondo me, bisogna fare per programmare il futuro. Lo scorso anno ero direttore tecnico del Presita in Indonesia e ho visto come lavorano i proprietari del Como che sono indonesiani. Il nostro obiettivo quest’anno è andare in Serie C anche se la concorrenza è agguerrita e ci sono squadre come Sambiase, Reggina e Scafatese. Però niente ci spaventa e niente ci preclude di organizzare il futuro».
Quindi lei sta già lavorando a prescindere dal risultato immediato? «Per me il ragionamento è semplice: se sono preparato e individuo l’area che devo migliorare, ho risparmiato lavoro a fine campionato. Ho sempre avuto una mentalità positiva. Penso al bene e al meglio».
«Molto calda e vicina alla squadra. I tifosi non si accontentano mai e questo può spronarci, ma con misura. Il calcio è così: all’Inter hanno pareggiato una partita e sembra crollato il mondo».
Catania, Palermo e adesso Siracusa. Lei, in qualche modo, può considerarsi siciliano… «Senza in qualche modo. Io mi sento siciliano. Del resto, mia figlia è nata a Palermo e io amo questa terra».
Cosa le piace di più della Sicilia? «Tante cose. Mi piace l’ospitalità della gente, la generosità. A ogni angolo trovi storia e bellezze che non ci sono da altre parti. C’è chi pensa alla Sicilia solo per certe cose, io invece qui a Siracusa faccio 200 metri e sono a Ortigia. Ogni sera faccio una passeggiata da solo e me la godo così come mi godevo le calli di Venezia quando giocavo lì. Prendi l’auto, fai pochi chilometri e vedi meraviglie come Noto, Marzamemi o Ragusa».
Torniamo al calcio. Quattordici anni dopo, nel Palermo c’è ancora Sirigu che lei lanciò in Serie A. Cosa la colpì all’epoca di “Walterino”? «Iniziai con Amelia, Brichetto e Ujkani. A un certo punto si prospettò la possibilità dello scambio di Amelia con Rubinho che era un portiere di prospettiva. Però mi chiamò Luciano Castellini e mi disse: “A Palermo il più forte che hai è Sirigu”. Così ho iniziato a guardarlo attentamente in allenamento. Quando è arrivato Rubinho, all’inizio non è andato tanto bene. Per tutti però era il titolare».
E invece? «Invece, a Roma con la Lazio dico a Sabatini: “Faccio giocare Sirigu perché non vedo Rubinho sereno”. Vado da Totò e gli dico che avrebbe giocato. Mi ha risposto: “Sarebbe anche ora”. Da lì è iniziato tutto».