“Anche se non si tratta delle stagioni più prestigiose della tua carriera, mi piacerebbe iniziare questa chiacchierata parlando del bellissimo Rimini di Acori. «Con Acori non ci si dedicava solo al calcio e alla tattica: si parlava di tutto, delle piccole cose della quotidianità. Aveva inaugurato l’abitudine, la sera prima della partita, di riunire a cena fuori i giocatori non sposati». Un altro personaggio di quel Rimini è stato il presidente Bellavista. «È stato lui a volermi al Rimini. Il campo di allenamento era a 500 metri dall’azienda. C’era un “ostacolino”, a tenere libero un posto auto per lui. Quando vedevamo arrivare la sua macchina qualcuno andava a rimuovere l’ostacolino. Ricordo le cene sociali, aperte alle famiglie, che si tenevano a Villa Rosa, meravigliose mangiate di pesce. In quella squadra c’erano giocatori come Handanovic, Matri, Ricchiuti, Barusso, Moscardelli, Cascione». Com’è vivere a Rimini in inverno? Ho letto che a fine carriera ti piacerebbe trasferirti laggiù. «Sono molto legato a Rimini perché è la prima città in cui ho giocato dove c’è il mare, e venendo da una località costiera la presenza del mare è fondamentale. Un’altra cosa per me molto importante è la tranquillità. Odio il traffico. Non so ancora dove andrò a vivere. Rimini è una possibilità. In questi anni io e mia moglie siamo stati da Dio a Mondello, per le stesse ragioni: il mare, la tranquillità». A quali luoghi di Palermo sei particolarmente legato della città? «Abitiamo a pochi passi dalla piazza di Mondello, un luogo che adoriamo. Poi c’è il santuario di Santa Rosalia. Quando vengono a trovarmi amici da fuori, il santuario è una tappa obbligata. C’è anche la zona dei due teatri. Non amando il traffico non vengo in città molto spesso, quando lo faccio è per visitare il patrimonio architettonico di questa città. Come sempre accade nel sud, è pieno di luoghi eccezionali lasciati al degrado e all’abbandono. Per fare un esempio, non sono ancora riuscito a vedere l’interno dello Spasimo: quando ci ho provato l’ho trovato chiuso». Altri posti che ti piacciono? «L’Hotel delle Palme. Quando sono stato acquistato c’era la pausa invernale. La squadra non era ancora in città ma io morivo dalla voglia di arrivare. Mi sono trasferito in anticipo. L’Hotel delle Palme è il primo posto in cui ho alloggiato. È anche il posto dove abbiamo festeggiato con la squadra la promozione in serie A, uno dei momenti indimenticabili della mia carriera. Come sei arrivato al mio libro? Me lo ha regalato Alessio Cracolici, l’ex team manager della squadra, prima di andare in ritiro, perché sa che durante i ritiri leggo molto. È un libro molto scorrevole, alla fine me lo sono “fumato” in 3-4 giorni». Cosa ti ha colpito in particolare? «Mi piace conoscere la storia dei luoghi, e nel tuo romanzo anche se l’argomento viene trattato con leggerezza, si percepisce quello che la mafia è, il peso che ha avuto. Basta leggere tra le righe. E poi mi piace molto il modo in cui sono smitizzati i mafiosi. Invece di rappresentarli come uomini di grande ingegno e strategia, escono per quello che probabilmente sono: furbi magari, ma abbastanza improvvisati, espressione di un basso livello culturale». Nel romanzo a un certo punto un mafioso si lamenta delle cessioni di Biava, Morrone e Di Donato. Esprime la critica che personalmente muovo a Zamparini: il non essere riusciti a creare bandiere. Secondo te come mai questo accade? «Perché devono essere d’accordo entrambe le parti, giocatore e società. Ci vuole il contemporaneo accordo di tutti ed è qualcosa che accade sempre più di rado». Cosa ti piace leggere? «Scelgo in base a ciò che mi incuriosisce in un determinato momento. Per esempio, di recente mi ha molto interessato il concetto di resilienza e ho letto qualche saggio di Pietro Trabucchi sull’argomento. Mi piacciono molto le biografie, soprattutto di personaggi sportivi: mi interessa scoprire la reale umanità dietro al personaggio pubblico. Mi è piaciuto molto “Open” di Agassi. Una biografia che ho adorato è “True” di Mike Tyson, di cui ho visto anche lo spettacolo teatrale, stupendo. Ti aspetti una storia pesante, incentrata sull’ego e invece scopri che Tyson ama prendersi in giro. Riesce ad essere autoironico, in modo sincero». Probabilmente dipende anche dal fatto che tutti i grandi pugili di colore si confrontano con il fantasma di Muhammad Alì, che era un maestro dell’autoironia. «Sicuramente. Mi è piaciuta moltissimo la biografia di Alì scritta da Gianni Minà. Piena di testimonianze dirette, momenti privati della sua vita. Ne viene fuori un ritratto straordinario. Mi piace conoscere la storia dietro alle cose. Ho letto diversi libri sulla mafia oltre al tuo. Ho letto “Per questo mi chiamo Giovanni” di Luigi Garlando. E restando a Palermo, “101 cose da fare a Palermo almeno una volta nella vita”». Ti va di parlare del calcio scommesse? «Prego». Il Tnas ha ridotto la tua squalifica a nove mesi. Sei stato prosciolto dall’accusa di illecito sportivo per Novara-Siena, ma è stata confermata l’omessa denuncia per Albinoleffe-Siena. Così i conti non tornano. «Perché il Tnas ha cancellato la pena relativa a Novara-Siena, ma ha aumentato quella per l’omessa denuncia in Albinoleffe-Siena. Una partita che io ho visto dalla tribuna, in stampelle, per dire solo una delle tante assurdità della vicenda. Non mi fa piacere ricordare quel periodo. È stato molto doloroso. Però ho la coscienza a posto. Io con il calcio scommesse non c’entro assolutamente nulla». Questa vicenda ha danneggiato la tua amicizia con Drascek? «No, per niente. Ci siamo ritrovati entrambi coinvolti in questa vicenda senza senso, kafkiana, eravamo solo sgomenti, non riuscivamo e non riusciamo ancora a capacitarcene». Ci sono altri compagni di squadra con cui sei rimasto molto legato? «Matri, Biondini e Gazzi, con cui ho giocato a Siena, e ora a Palermo». Ho letto che Gazzi è un tipo dai gusti molto peculiari, patito dei My Bloody Valentine e di tutta la psichedelia in generale, amante dei film di Lynch e dei romanzi di De Lillo… «Con Alessandro siamo stati compagni di stanza. Lui è un lettore molto più accanito di me e sì, ascolta quella roba assurda. La sera prima di addormentarci si metteva le cuffie e attaccava la musica, ma riuscivo a sentire comunque questi stridori allucinanti». Altri compagni di squadra, diciamo, particolari? «Regonesi è un altro tipo niente male. Suona il pianoforte, molto bene. Quando andavamo in ritiro, noi scendevamo le valigie, lui tirava fuori la pianola. E poi c’è Troianiello, ma lui è fuori categoria. È una persona stupenda ed è davvero un personaggio. A Siena, stavo già con mia moglie anche se non eravamo ancora sposati, e lei mi raggiungeva solo per un paio di giorni. Nel resto della settimana Gennaro era sempre a casa mia. Quando la mia ragazza arrivava, e lui doveva andarsene, la prima cosa che le diceva, ancora prima di salutarla: “Allora quando te ne vai?”»“. Questa l’intervista integrale di Isidoro Meli al difensore del Palermo Roberto Vitiello, pubblicata nell’edizione odierna de “La Repubblica”.