Verratti dieci anni a Parigi: «Mi sento francese oltre che italiano. Un giorno chiederò la nazionalità»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma su Verratti con i suoi dieci anni a Parigi.
Era arrivato poco più che ragazzino. Ormai Marco Verratti, 29 anni, è il giocatore più vincente della storia del calcio francese. Oltre che del Psg, con cui si è affermato come uno dei migliori centrocampisti al mondo, e dove ormai dà del tu a fuoriclasse del calibro di Neymar, Mbappé e pure Messi che a suo tempo l’avrebbe voluto al suo fianco al Barcellona.
Esclusiva Ma a Parigi invece l’ha raggiunto da una stagione anche Gianluigi Donnarumma con cui ha vinto un Europeo giusto un anno fa, prima di vivere «il disastro» della mancata qualificazione al Mondiale in Qatar. Anche se non è per questo, ovviamente, che Verratti medita di chiedere la nazionalità francese, prima o poi, come racconta domani in esclusiva per Sportweek.
Amico Gigio Insomma, è stata un’annata ricca di contrasti, tra grandi emozioni, euforia e improvvisi picchi. Come quando il Psg è stato eliminato fin dagli ottavi di finale di Champions League, nella stagione in cui il club dell’emiro del Qatar era dato per super favorito. E dopo aver surclassato all’andata il Real Madrid. Per poi però subire un’inaspettata rimonta a firma tripla di Karim Benzema. Una sconfitta che ha generato molte critiche anche contro Donnarumma: «Il calcio è così: a luglio ti fanno re, a marzo ti tirano le pietre. Gigio è giovane ma ha già molta esperienza. Anche al Milan ha sofferto un po’, però lui è il nostro presente e futuro: siamo felici di averlo al Psg».
Obiettivo Europa Un Psg che anche quest’anno sarà giudicato in Champions League, il trofeo che continua a sfuggire, nonostante le tante stelle che popolano lo spogliatoio: «Non ci manca molto, abbiamo fatto una finale e una semifinale in tre anni. Dobbiamo continuare a lavorare e magari non ricominciare ogni volta da zero». Anche così la squadra più glamour viene bersagliata dalle critiche: «È il calcio di oggi – relativizza Marco Verratti- . Tutti hanno il potere di dire la loro. Con i social le cose vanno veloci. Tira un’aria strana: vinci il decimo scudetto, 28 trofei in dieci anni e lo si considera scontato. E invece non lo è. Tutti vogliamo fare di più, ma ci sono anche gli avversari. Per la Champions League comunque ci proveremo ogni anno, perché sappiamo che è la cosa che conta di più».
Azzurro tenebra Come ci riprova anche l’Italia, sentenzia Verratti evocando la mancata qualificazione al Mondiale in Qatar: «È successo un disastro. Abbiamo vissuto emozioni molto contrastanti. Due mesi prima vinci l’Europeo, poi, tra episodi e sfortuna, non riesci più a vincere come prima. Purtroppo non ci sono più partite facili, se sbagli paghi. Abbiamo perso una partita e siamo fuori. Ma non va buttato tutto, abbiamo grandi capacità, un gruppo di talento, che gioca da squadra. Abbiamo vinto un Europeo quando tutti ci davano per morti. Da lì bisogna ripartire. Nel calcio come nella vita si vince e si perde, però bisogna poi sempre mettersi al lavoro. Vogliamo tutti riportare l’Italia dove merita, al Mondiale».
Lui e la Francia In Qatar invece ci va la Francia, campione del mondo in carica, diventata una seconda patria per l’azzurro ormai quasi trentenne, a novembre, e che a Parigi è diventato un top player, ma anche padre di famiglia: «Sono arrivato da un paesello abruzzese come Manoppello (poco più di 6 mila abitanti in provincia di Pescara, ndr) a una capitale come Parigi, dove sei immerso in tante culture, in un’età in cui ci si forgia il carattere, la personalità. Parigi è una città fantastica e questo Paese mi ha dato molto. Anche per questo mi sento molto francese, pur restando italiano. Un giorno chiederò la nazionalità, visto che anche i miei figli sono nati qua». Nel frattempo c’è un Psg da far vincere e un’Italia da ricostruire. Con Verratti come punto fisso. «So quando gioco bene o male. Ma pure che do sempre il massimo e quindi sono a posto con me stesso. Le critiche fanno parte del mestiere e le accetto, così come diffido degli elogi. Solo il lavoro dà certezze».