L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” si sofferma sulla storia di una calciatrice costretta dall’arbitro a togliere il velo.
«Perché devo togliere il velo? Lo uso sempre per giocare». È stata questa la risposta che Maroua M., calciatrice 16enne di origine marocchine ma vercellese di nascita, ha dato all’arbitro, suo coetaneo, che le aveva chiesto poco prima di togliere l’hijab per entrare in campo. E quando la giocatrice, che indossa da quest’anno la casacca della Pro Vercelli, ha detto di non poterlo fare perché simbolo della sua religione, il direttore di gara ha deciso di interrompere la partita.
Senza dare alcuna spiegazione. Il caso è avvenuto durante il match del campionato Under 19 di calcio femminile, tra Pro Vercelli e Accademia Torino. Il risultato era fermo sul 2-2 e a pochi minuti dal termine, era l’85’, la Pro Vercelli ha deciso di fare una sostituzione, facendo entrare in campo la giocatrice Maroua M. «Eppure l’hijab Maroua l’ha indossato per tutto il campionato — spiega Laura Sartirana dirigente della squadra vercellese —. Rispettare la nostra giocatrice avrebbe voluto dire farla giocare con il velo».
Parla invece di una scelta fatta per tutelare la giocatrice il presidente degli arbitri di Casale Monferrato, William Monte. «Non è razzismo — spiega Monte —. L’arbitro voleva solo tutelare la sicurezza della calciatrice. Quel velo era avvolto sotto il collo. Poteva secondo lui diventare pericoloso».