Ventura: «In Italia il problema sono i giovani. Cinque giorni dopo l’eliminazione dal Mondiale c’è stata Juve-Inter e da allora nessuno ha più parlato di riforme»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” riporta una lunga intervista a Giampiero Ventura il quale ha parlato del momento che sta vivendo il calcio italiano, ma non solo.
Gian Piero Ventura, domenica il Toro l’ha divertita?
«Ha fatto una buona gara, ma non mi ha stupito perché contro le grandi fa sempre grandi partite. Alla vigilia ero convinto che sarebbe andata così: contro la prima in classifica ha concesso poco e ha creato abbastanza».
Come valuta il primo anno di Juric?
«Dopo due anni di difficoltà, si percepisce che Juric ha cambiato la mentalità. Dà la sensazione che il gruppo lo segua ciecamente. Credo che al primo anno non si potesse chiedere di più, ma è altrettanto evidente che le prossime partite serviranno per avere le idee ancora più chiare sul futuro: il primo anno serve per buttare le basi, il secondo per consolidare, il terzo per raccogliere».
Che cosa sta nascendo?
«Mi auguro sia l’inizio di un qualcosa di positivo perché ci sono tutti i presupposti. E i presupposti sono, ad esempio, quei giovani che contro il Milan hanno giocato: Zima, Brekalo, Singo, Buongiorno…»
E Ricci. Le è piaciuto?
«Sì, certamente, Ricci mi è piaciuto molto. E’ stata una piacevole sorpresa, perché si è calato in un ruolo che non credo abbia mai fatto con grande intelligenza e capacità. Ha retto alla pari il confronto con Tonali».
E’ un patrimonio per il futuro del calcio italiano?
«Sì, i giovani bisogna avere il coraggio di farli giocare ma anche di saperli aspettare e farli crescere».
Che cosa è diventato Bremer?
«Uno dei migliori difensori d’Europa. Contro il Milan è stato gigantesco, ma è tutto il campionato che non sbaglia una partita. Credo abbia stupito gli stessi tifosi del Toro: in questi anni è sempre cresciuto, ma oggi è a livelli mai toccati. Credo ci sia una grossa compartecipazione di Juric. Ha potenzialità enormi: personalità, capacità di leggere le situazioni, in elevazione non gli prende la palla nessuno, nell’uno contro uno nove volte e mezzo su dieci la porta via lui».
Potremmo aprire il tema della corsa scudetto dal Milan…
«Ma io preferirei partire da un quadro più ampio. Perché questo è un campionato nel quale non vi è più alcuna certezza del risultato in nessuna partita. Alla decima giornata, si parlava della Juve come se dovesse quasi lottare per non retrocedere. Invece se due domeniche fa, giocando la sua migliore partita, avesse battuto l’Inter sarebbe a tre punti dallo scudetto. C’è stata sì una grande rincorsa della Juve, ma pure una grande frenata delle tre davanti».
Che cosa vuol dire?
«Che è un campionato dove non c’è più una certezza, nel quale il calendario non conta più niente: può succedere che il Milan perda in casa con lo Spezia o che pareggi a fatica a Salerno. Se l’Inter non avesse vinto con la Juve, avrebbe sperperato molto di quanto fatto all’andata. Il Napoli, ogni volta che ha la partita decisiva, incontra difficoltà e perde in casa come contro Milan e Fiorentina».
Questo equilibrio cosa significa?
«Non è un momento esaltante per il nostro calcio. È inutile ritornare su vecchi argomenti, ma basti pensare che nelle prime sette squadre della Serie A non c’è un attaccante italiano. Non è pensabile che il Milan capolista si salvi nel finale contro l’ultima a Salerno. Non è normale che ogni volta che il Napoli arrivi a passare il guado poi si ferma».
Milan, Inter e Napoli: quali i punti di forza?
«Per il Milan il lavoro di Pioli. Ha fatto un miracolo a portarlo a lottare per lo scudetto, ha una rosa inferiore a Napoli e Inter. Per merito di Spalletti, il Napoli mai come quest’anno ha avuto la possibilità di giocarsi lo scudetto. Per me è ancora in corsa: se perde le prossime due si allontana, ma se le vince tutte farà suo il tricolore: le milanesi non le vinceranno tutte. La corsa è aperta».
E sull’Inter?
«Ha la rosa più forte e il vantaggio di essere campione d’Italia. Questo aggiunge mentalità vincente a un calcio ben definito, nel quale Conte ha dato un contributo. L’Inter ha buttato via una marea di punti ma è molto forte».
Chi è la sua favorita?
«Se me l’avesse chiesto quindici giorni fa, avrei puntato sul Napoli. Oggi dico l’Inter, perché la vittoria di Torino li ha portati a ricredere nelle loro possibilità. Ma ogni domenica può succedere qualunque cosa: è il bello del calcio, prendiamoci il bello».
Qual è l’allenatore sorpresa del campionato?
«Italiano è al secondo anno di Serie A: è vero che ha una buona squadra, ma la Fiorentina gioca. Ci sono state anche altre sorprese, come il Verona di Tudor che per quattro mesi ha fatto un buon calcio. Il Sassuolo di Dionisi, tecnico al primo anno di Serie A che vince in casa di Milan, Inter e Juve. C’è una bella infornata di nuovi allenatori con nuove idee e con la capacità di metterle in pratiche. Poi non parlo dei big: sono tutti bravissimi e navigati».
Abbiamo i bravi allenatori, ci mancano i calciatori: è arrivato il momento di farle le riforme?
«Il problema non è parlare di riforme, è farle. Riflettiamo un secondo: nel 2010 l’Italia è uscita al primo turno dal Mondiale, nel 2014 al primo turno, nel 2018 non ci siamo qualificati con la Svezia e oggi non ci siamo qualificati contro la Macedonia del Nord. Se anche di fronte a questo problema strutturale continuiamo a parlare di riforme che non vengono mai fatte, diventa difficile che la situazione possa migliorare».
Da dove bisogna ripartire?
«Il grande e vero problema sono i giovani. Ma oggi in Italia quando si tocca l’argomento, si parla di Scamacca, Frattesi e Raspadori. L’Italia può essere racchiusa in tre calciatori? Il cambiamento dovrebbe venire dalla base. Ci sarebbe un lavoro incredibile da fare. Ma se continueremo sempre a far finta che non sia successo niente, allora non ci potremo lamentare. Cinque giorni dopo l’eliminazione dal Mondiale c’è stata Juve-Inter e da allora nessuno ha più parlato di riforme. È stato uguale nel passato».
Il Bari è tornato in Serie B. A casa Ventura si è festeggiato?
«Da barese adottato sono felicissimo. Il Bari in Serie C era una contraddizione del calcio: domenica hanno fatto 25.000 paganti. Ora la famiglia De Laurentiis si trova di fronte a un bivio, dovrà scegliere tra il Napoli e il Bari. Non sarà una scelta così facile come sembra. Mi auguro che l’arrivo in B sia un punto di partenza, perché il Bari deve tornare in A. Le potenzialità sono mostruose. Io avevo dai 45.000 ai 60.000 tifosi allo stadio tutte le domeniche. Hanno un bacino e una potenzialità da grande squadra».