Si conclude oggi “Trazzeri”: Ritratti e Storie di emigranti rosanero”. Durante queste settimane abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni nostri emigranti, che se pur costretti a lasciare la nostra Terra in cerca di un futuro migliore, hanno mantenuto intatto nel loro cuore un legame profondo con le proprie origini, un affetto viscerale che non si spezzerà mai e che li farà sentire ovunque andranno orgogliosi di essere palermitani! Storie diverse, legate fra loro da un comune denominatore: la profonda passione per il Palermo e la nostalgia struggente e un po’ malinconica per la nostra città. Dopo essere stati virtualmente in giro per il mondo, siamo tornati in Italia, a Desenzano sul Garda, dove abita Ugo Camarda che già da moltissimi anni vive lontano dalla nostra città.
Ciao Ugo, quando hai deciso di lasciare la nostra città e perché?
«La decisione è stata presa nel maggio del 1971 e sono andato via ad agosto dopo un mese di non dormire, perché un lavoro a Palermo comunque già l’avevo. Da circa 6 anni ero alle dipendenze di una impresa edile, ma facevo un sacco di concorsi e tanti colloqui perché cercavo un’altra occupazione; avevo persino vinto un concorso come manovale nelle Ferrovie, che rifiutai perché sarei dovuto andare a Catania. Sono andato via da Palermo, perché mi ero reso conto, a 28 anni, che il poco che avevo in quel periodo poteva diventare un niente nel medio termine. A spingermi non è stata solo la paura della precarietà, ma anche l’opportunità di poter scegliere qualcosa di diverso mentre mi trovavo ancora sotto i 30 anni di età, dopo per me sarebbe stato sicuramente molto più difficile. Alcune persone che vivevano al Nord, mi parlarono di un’Azienda olandese che stava cercando un responsabile delle vendite dei loro prodotti. Inoltrai la mia domanda di assunzione e poco dopo ricevetti la loro offerta di lavoro».
Da qualche anno ti godi la tua meritata pensione, quale è stato il percorso professionale? Hai avuto difficoltà di inserimento?
«Quando mi sono trasferito al Nord, erano gli inizi degli anni ’70, avevo già messo nel conto che non sarebbe stato facile, sia perché venivo dal Sud, sia perché sono stato assunto come impiegato di primo livello. La mia funzione era quella di capo vendite di un gruppo di 10 venditori che dovevano girare tutto il nord Italia per vendere prodotti zoo – tecnici, principalmente alimenti a base di latte in polvere per la produzione di carne di vitello. Le mie difficoltà iniziali sono state essenzialmente di natura ambientale».
Come è nata la tua passione per il Palermo e come hai seguito in questi anni le varie vicende legate al mondo rosanero?
«La mia passione è nata nel 1948, quando mio padre mi portò per la prima volta allo Stadio. Avevo 6 anni e si giocava Palermo – Novara. Già promosso in Serie A, il Palermo scese in campo con Masci, Boniforti, Buzzegoli, Conti, Milani, Piccinini, Di Maso, Pavesi, Vycpálek, Moretti e De Santis, mentre nel Novara giocava ancora un certo Silvio Piola, autore di un gran bel gol in rovesciata. Vinse il Palermo per 2 a 1 e da questa partita in poi, quando non pioveva, continuai ad andare allo stadio insieme a mio padre e a mio fratello maggiore. Furono momenti bellissimi che accompagnarono tutta la mia infanzia. Da adolescente, mio fratello fu distratto da altre cose, restammo io e mio padre a condividere questa passione. Quando lasciai Palermo, per rimanere legato mi abbonai al Giornale di Sicilia del lunedì che arrivava a Verona, dove mi ero trasferito, il mercoledì successivo. Inizialmente andavo a vedere le partite che si giocano nelle città vicine, ma dopo tre anni il lavoro mi prese molto di più, diventai dirigente e la mia vita cambiò completamente. Una cosa è fare il dipendente con gli orari d’ufficio stabiliti, un’altra cosa è fare il dirigente di una Società che non solo non era nemmeno italiana ma era anche la più importante nel campo dell’alimentazione. Cominciai a seguire di meno le partite, oltre ad avere avuto a 31 anni quell’incarico, ogni 3 – 4 anni ricevevo una promozione che mi sballottava continuamente a Milano, a Bergamo, a Verona ecc. e ogni volta andavo via anche con i pensieri e con la testa. Per me, poi, diventò ulteriormente più difficile seguire il Palermo dopo la famosa radiazione del 1986 in quanto la ripartenza dalla serie C2 allontanò la squadra dal Nord Italia. La fiamma si riaccese agli inizi del 2000 con l’arrivo di Franco Sensi, nel frattempo ero diventato un dirigente affermato, il top manager dell’Azienda e nel 2004, anno della promozione del Palermo in serie A, andai in pensione».
Qual è il ricordo più bello legato al Palermo che porti?
«I ricordi che mi fanno commuovere di più sono quelli legati a quando andavo allo stadio con mio padre. Mi emoziono sempre ripensando a lui e a quei momenti, perché ogni volta che il Palermo segnava ci abbracciavamo, una cosa che era iniziata quando ero un bambino e che è durata per tutto il tempo che sono andato allo stadio con lui. Tutte le volte che il Palermo segnava, ci abbracciavamo forte forte, per me era un sogno quell’abbraccio continuo che durava tutto il tempo dell’esultanza e non importava se alla fine il Palermo vinceva o perdeva, 2 a 1 o 3 a 2, in quell’abbraccio c’era tutta la nostra passione per i colori rosanero e l’ amore profondo che lega un padre ad un figlio. Ho perso mio papà quando avevo 19 anni, l’anno prima del mio diploma di maturità e mi mancherà sempre. Io e mio fratello abbiamo avuto due genitori meravigliosi, sono stati due pilastri per me, hanno cresciuto noi figli in maniera esemplare».
Fra i tanti campioni che hanno indossato la maglia rosanero, chi ti è rimasto particolarmente nel cuore e perché?
«Negli anni ’50, nel periodo della mia infanzia, i miei genitori avevano la cabina a Mondello e nel cortile accanto c’erano anche i giocatori del Palermo, Conti, Vycpálek, Di Maso e qualche altro. Noi bambini li guardavamo e il più giocoso di tutti, quello che scherzava con noi era Vycpálek ed è quello che ammiravo di più. Nel periodo della mia adolescenza il mio idolo era Vernazza, perché portò il Palermo in serie A, aveva una stangata fortissima ed era capocannoniere della Serie B. Passando agli anni ‘80 ricordo che mi piaceva moltissimo Giampaolo Montesano, mentre del Palermo dell’era Zamparini i calciatori che mi hanno fatto sognare di più sono stati Luca Toni e come gioco e signorilità Javier Pastore».
Cosa ti è mancato di più in questi anni della nostra città, rifaresti la scelta di andare via?
«I primi tempi mi mancavano moltissimo mia madre, gli amici e l’andare la domenica allo stadio, anche perché avevo trovato casa vicino al Barbera, ma purtroppo rifarei la scelta di andare via ed è la cosa che mi dispiace di più perché significa che dopo 45 anni non è cambiato nulla».
Considerata la tua esperienza lontano da Palermo, c’è qualche consiglio che vuoi dare ai nostri giovani che faticano a trovare un’occupazione?
«Penso che quando si finisce di studiare si devono avere le idee chiare sul proprio futuro. Il posto fisso nelle Aziende private non c’è più e se non si ha la serenità di poter andare avanti, io consiglio ai miei giovani concittadini che dopo 3 – 4 anni al massimo si deve andare a cercare una sistemazione fuori da Palermo, contando sulla conoscenza delle lingue o su qualche master per chi ha studiato all’Università. Lo stesso discorso vale anche per chi non ha avuto la possibilità di studiare ad alti livelli, provando a cercare fra le nuove opportunità che stanno nascendo in questo periodo fuori dai confini siciliani o anche all’Estero».
Quale è il tuo augurio per la squadra rosanero e come vuoi salutare tutti i nostri amici e tutti i tifosi rosanero?
«Spero che quest’anno il Palermo non ci faccia soffrire come la passata stagione. Arrivare all’ultima giornata sapendo che un pallone che entra può significare serie A o Serie B è stato quasi un dramma. Evitare almeno questo, logicamente mi piacerebbe ritornare ai tempi di Pastore e di Ilicic. Saluto tutti i nostri amici con un abbraccio e con un “Forza sempre magliette rosanero!”».