Tuttosport: “Palermo-Torino per Roma, Belotti-Dybala: era destino”
L’edizione odierna di Tuttosport si sofferma su Dybala e Belotti, i due ex rosa che hanno lasciato entrambi Torino per Roma.
Hanno lasciato insieme Torino, in maniera dannatamente diversa. Paulo Dybala, quando ha salutato l’Allianz Stadium per l’ultima volta contro la Lazio, non aveva più lacrime da versare. Andrea Belotti, al contrario, si è congedato dal Toro all’ultima giornata dello scorso campionato con incertezze e interrogativi su un futuro che sapeva benissimo sarebbe stato lontano dalla Mole. Insieme, dopo aver vissuto i primi lampi di carriera italiana a Palermo, si sono ritrovati a Roma. In un percorso estivo agli antipodi, eppure insieme hanno costruito passo dopo passo la strada che ha portato la Roma alla notte di Budapest.
Dybala, nella Capitale, ci è arrivato da capopopolo. Accoglienza da brividi, fiumane di tifosi, entusiasmo alle stelle e chi ne ha più ne metta. Paulo è sbarcato a Roma da svincolato, dopo un mare di incomprensioni che hanno caratterizzato gli ultimi chilometri macinati con la Juventus. A giugno non aveva la più pallida idea di dove sarebbe finito: prima è stato accostato al Manchester United, poi al Milan, poi all’Inter, poi al Tottenham e infine ad altre sei/sette big del calcio mondiale. I Friedkin hanno intuito le potenzialità dell’affare, Pinto ha lavorato ai fianchi dell’entourage e alla fine ci ha pensato Mourinho a pronunciare l’ultimo amen. Così Dybala diventa giallorosso. Si schiera accanto ad un popolo che, ubriaco d’amore, sogna addirittura il tricolore dopo la Conference League.
Lo fa con una voglia incredibile di rilanciarsi, di togliersi la stampella che lo ha accompagnato per tanti frangenti dei suoi anni bianconeri. Lo fa per conquistare prima il Mondiale con l’Argentina e poi il mondo con la Roma. Lui è la luce del gioco giallorosso, l’uomo capace di trasformare in oro ogni cosa che tocca. I numeri sono altisonanti: 11 gol e 7 assist in campionato, 4 perle e un assist in Europa League prima del duello col Siviglia. Dybala ritrova amore per il calcio e centralità in un progetto. Così si fa spupazzare dai tifosi. Il momento più alto è il gol al Feyenoord, a pochi secondi dai minuti di recupero: il 2-1 che porta la Roma ai supplementari. Un capolavoro della Joya, che consente ai compagni di vincere nuovamente la sfida contro gli olandesi, già sconfitti in finale di Conference League l’anno prima. Dybala incide sempre quando c’è. E anche quando gli infortuni lo tormentano la motivazione per alzare la testa non gli manca mai. In meno di dodici mesi, è già nella storia del club, nel parterre delle leggende.
La storia di Belotti, invece, è sicuramente meno romanzesca. In estate è un po’ il brutto anatroccolo del mercato: nessuno sembra mai fare sul serio per lui, che lascia il Toro dopo sette anni con agghiacciante indifferenza. Lui aspetta, aspetta e aspetta. Aspetta semplicemente la Roma, che deve collezionare una serie di uscite prima di tesserarlo. Sembra una barzelletta, ma alla fine il Gallo firma. Lo vuole Mourinho, già ammaliato da lui sin dai tempi del Tottenham. Il campionato di Belotti, aspettando l’ultima giornata, rimarrà indimenticabile. Ma in negativo: non ha mai segnato in 30 presenze. In compenso, il suo gol al Salisburgo nei playoff di Europa League è quello che permette alla Roma di eliminare gli austriaci, tosti come pochi. Come sempre, il classe ‘93 fa valere le sue caratteristiche e alla sua maniera si fa voler bene.
Fa la guerra con chiunque in campo, conquista una quantità spaventosa di falli, aiuta la squadra in qualsiasi circostanza e gioca anche incerottato. Per la Roma, come già successo in passato col Toro, indosserebbe persino i guanti se servisse rimpiazzare Rui Patricio in porta. Non è bello, ma è un tipo. Il giocatore che ogni allenatore vorrebbe avere in rosa, il fidanzato che ogni padre sogna per la propria figlia, l’amico che prenderebbe uno schiaffo al tuo posto. Pur di vestire la maglia giallorossa ha scelto di firmare un contratto annuale, ha voluto il precariato scansando la comfort zone che si era costruito in granata. A Roma spera di mettere radici e lo ha dimostrato mangiando l’erba. Inventando, involontariamente, un teorema: amare un bomber che non segna praticamente mai è possibile.