“Ha reso grande il Catania colorandolo di un biancoceleste argentino, e dopo una peregrinazione tra Genoa, Palermo e Messina è tornato alla base per riportare il club etneo nella massima serie attraverso una graduale, ma decisa scalata dalla Lega Pro. Pietro Lo Monaco, attuale amministratore delegato dei rossazzurri e uno tra i dirigenti italiani più apprezzati, nel corso di una carriera avventurosa e con svariate sfaccettature è però stato anche un calciatore, prima di sedere in panchina nelle vesti di allenatore. Il suo Catania, arrivato secondo nel girone C di Lega Pro totalizzando 70 punti (più di Livorno e Padova che hanno vinto i rispettivi campionati con 68 e 63), è adesso atteso dai playoff, dove entrerà dai quarti di finale esordendo il 30 maggio. Pietro Lo Monaco, prevalgono il rimpianto o la fiducia, per la stagione disputata dal club? «La speranza è di ottenere il massimo, però non dimentichiamo che il doppio salto all’indietro del Catania, dalla serie A alla Lega Pro, è ancora fresco. Quando sono tornato qui la situazione era preoccupante, ma la nostra crescita è stata evidente: la scorsa stagione siamo approdati ai playoff, in questa ci arriviamo da secondi e con il miglior attacco della Lega Pro (65 gol, secondo il Livorno che ha vinto il girone A con 64, ndr). Purtroppo la concorrenza nel nostro gruppo era spietata, tra un Trapani che voleva riguadagnare immediatamente la B e un Lecce che dal 2012 puntava a centrare l’obiettivo. Adesso siamo dentro a questa che definisco una autentica lotteria, siamo in attesa di conoscere la nostra avversaria (oggi il sorteggio, ndr) e ripeto che vogliamo giocarci ogni residua possibilità di promozione». Catania città ha risposto alla grande, alla passione con la quale state cercando di riportare in alto la società. «Basti dire che abbiamo una media di 20 mila spettatori. In C nessuno ha i nostri numeri, ma anche in B ci superano appena cinque club mentre in A abbiamo venduto più biglietti di quanti non ne abbiano staccati la Spal, il Crotone o il Chievo. Dovete capire che qui conta la famiglia, Sant’Agata e poi viene il Catania. Il calore con cui viene seguita la squadra ha pochi eguali, come i catanesi vedo soltanto i napoletani e i torinesi, ma quelli granata. Basta poco, per accendere la piazza, ma questo poco va fatto nel migliore dei modi». La dimensione giusta del Catania? «La serie A. Non so se la raggiungeremo in due, tre anni o quanto tempo servirà, ma il Catania deve giocare nel principale campionato italiano. Quello che con il sottoscritto dirigente è già stato frequentato per 8 stagioni consecutive». E la dimensione giusta di Lo Monaco? «Il mio motto è: costruire. Sono nel calcio da tanti anni, ho frequentato la C2 come la C1, la serie B e la A e pure la serie D, da calciatore. Ho vinto 9 campionati in differenti categorie anche grazie a un’esperienza completa, nel mondo del calcio. Sono stato un giocatore dotato, ma un po’ perché non ho trovato le guide giuste, un po’ perché non sono riuscito a raggiungere la completa maturità, non sono approdato ad alti livelli. Poi ho intrapreso il percorso da tecnico, e ho rifiutato proposte da squadre che puntavano a vincere il campionato perché per me allenare vuol dire modellare una squadra a partire da un pezzo di legno. Suddette annate mi sono tornate molto utili, al momento di diventare dirigente: ds prima, quindi dg e infine amministratore delegato. So cosa passa nella testa di un giocatore come di un allenatore, figura che all’interno di una squadra va supportata con convinzione. L’unica cosa che mi manca, per tirare le fila, è la verifica in una società di primo piano. Ci sono andato vicino in più occasioni, ma non è mai successo. Rimpianti comunque non ne ho, perché ripeto che dovunque sono andato ho costruito. A Catania abbiamo dato vita a un centro sportivo tra i più belli in Italia. Non oso immaginare cosa potrei realizzare, con budget importanti». La trattativa che ricorda con più soddisfazione? «La cessione di Vargas alla Fiorentina di Corvino. L’agente del peruviano voleva andare a scadenza, io li ho convocati in sede e in un modo o nell’altro li ho convinti ad andare subito a Firenze. Anche il passaggio di Martinez alla Juve, come quello di Maxi Lopez al Milan, mi hanno dato una certa soddisfazione. Nel periodo d’oro di Catania abbiamo realizzato 70 milioni di plusvalenza, tanti, per la dimensione del club».
Ha più incrociato l’agente di Vargas? «No…». Quanto è cambiato il calcio, negli ultimi dieci anni? «Tanto. Lo specchio dei tempi è la cessione per 32 milioni di Iturbe, andato dal Verona alla Roma. D’altronde il mercato è specchio fedele di quanto avviene fuori: molto, se non tutto, è degenerato. Il calcio è sempre più in mano agli agenti. Con i ds complici di aver permesso che accadesse. Raiola, per dire, è nato con me, però mi piange il cuore nel constatare che tre o quattro agenti, per di più poco inclini a un adeguato giudizio tecnico sui giocatori, abbiano in mano il mercato. Il problema fondamentale è che l’85% delle risorse va ai calciatori, mentre in Germania la percentuale scende al 50. Esempi positivi, però, ce ne sono: il mio Catania, con gli arrivi a prezzi più che ragionevoli dei vari Gomez e Silvestre, Martinez, Vargas o dello stesso Maxi è stato un modello. Ma anche l’Udinese, e più di recente l’Atalanta si muovono con intelligenza, comprando a poco e rivendendo a tanto». Perché si è rivolto sempre con particolare attenzione al mercato argentino? «Innanzitutto per il rapporto qualità-prezzo, e poi perché l’Argentina è composta per lo più da italiani, hanno un modo simile al nostro di vedere le cose». In Italia chi colmerà la distanza con la Juve? «Vedo ancora tutte molto distanti, dai bianconeri. L’azienda Juve è feroce, e chi ci approda acquisisce immediatamente una certa mentalità. Hanno appena pagato la clausola da 3 milioni e preso dal Barcellona l’attaccante Moreno. Gran colpo, come in precedenza lo erano stati Pogba o Koman. Chi potrà insidiare i campioni d’Italia è il Napoli. Sarri ha proposto qualcosa di unico, a livello tattico e tecnico, adesso alla guida degli azzurri è in arrivo Ancelotti: un allenatore diverso e abituato a gestire i grandi calciatori. Qui cascherà l’asino, a meno che De Laurentiis non cambi politica e non punti più su giocatori buoni, ma da modellare, per acquistare invece 2 o 3 top player già affermati»”. Questa l’intervista a Pietro Lo Monaco, riportata oggi da Tuttosport.