L’edizione odierna di “Tuttosport” riporta le parole di Giuseppe Leonardi, giovane presidente della Sicula Leonzio. Cosa vuol dire essere a capo di una società così giovane? «Innanzitutto abituarsi alle responsabilità. Tra le situazioni a sfavore c’è sicuramente quella di rubare ore al tempo che potrei trascorrere in modo meno gravoso. Ma mi reputo una persona fortunata perché ho fatto cose importanti nel calcio, vincendo parecchi campionati e questa è stata la forza che man mano ha alimentato l’appetito che, come si sa, viene mangiando. Viviamo un periodo non ideale per fare calcio ma ho preso un club in un posto come Lentini, dove si può fare bene senza la pressione a volte enorme che si avverte in piazze come Palermo che come abbiamo visto recentemente sono addirittura fallite per cercare ora di risalire. E in questo senso mi tornano in mente altri esempi come il Venezia e il Parma. Nulla è facile: serve passione, dedizione e anche un po’ di preparazione, perchè se vinci tre campionati e resti sempre a galla vuol dire che un minimo di bravura c’è. Il problema è che nel calcio oggi c’è ancora tanta improvvisazione. Io arrivai sette anni fa in punta di piedi e la squadra si allenava in base a quando era libero il campo dalla Scuola Calcio con cui si condivideva il terreno. Lo stadio comunale era in pessime condizioni, quasi all’abbandono». In questo senso si può parlare tranquillamente all’imperfetto visto l’attuale stato di salute del club. «Due anni fa abbiamo realizzato le torri faro per l’illuminazione. E’ stato allestito un settore giovanile dal nulla. Abbiamo la squadra femminile che milita in serie C e tra l’altro vanta l’età media più bassa, con ragazze tra il 2000 e il 2005. Bisogna crescere a 360 gradi in maniera organica. Il nostro campo in cui giochiamo è in erba naturale per cui non può ospitare tutte le attività. La prima squadra si allena a Melilli, le ragazze a Belpasso, a Caltagirone il settore giovanile che va dai Giovanissimi Regionali alla Berretti. Il sogno è riunire il tutto in unico centro e posso dire che mi sto adoperando per trovare la strada migliore in tal senso. Nei piani c’è ovviamente anche realizzare un campo in sintetico». presidenza rendendola vincente? «Il campionato di Promozione è stato vinto da un allenatore e poi c’è stato anche il coraggio di cambiare perché le categorie vanno rispettate e a volte occorre accettare l’idea di fare squadre nuove. A volte non solo nell’organico ma anche nella conduzione. Forse è un atteggiamento un po’ forte ma posso dire che è stata l’arma vincente. Decisioni quindi che sono andate aldilà dei rapporti personali che in molti casi sono rimasti ottimi. Cito gli esempi degli allenatori Alderisi, Seby Catania e Ciccio Cozza. Ogni anno abbiamo aggiunto tasselli per cercare di alzare l’asticella». Come nasce la sua passione per il calcio? «Io sono un ex studente salesiano dove a Catania ho fatto dalla scuola materna al liceo scientifico. Avevo il pallone costantemente nei piedi durante gli intervalli e la sera andavo a giocare in una squadra di salesiani dove ho fatto tutta la trafila fino alla Juniores. Ho avuto qualche esperienza in Prima Categoria e in Promozione. Io ero un portiere, quindi abituato a vedere tutto da dietro». Come mai proprio la maglia con il numero uno sulle spalle? «Il portiere è un ruolo di responsabilità e personalità, se non ne hai non puoi andare tra i pali. E’ anche un ruolo ingrato perché quasi mai ti viene riconosciuto il tuo impegno. Sei sempre solo, ti esalti con la parata e ti abbatti per un errore. Difficile che qualcuno ti dica “bravo”. Diciamo che sono ruoli per gente sola. Io dico che il portiere è di fatto il secondo allenatore: quello che sta in campo. Guida e dà la carica durante la partita. Io preferisco avere un portiere che è regolare nel suo rendimento piuttosto uno che a volte è eroe e in altri casi responsabile di papere che si pagano a caro prezzo». Questo senso di responsabilità che ha sempre sentito forse che si occupa di rifiuti ed è un lavoro molto particolare in cui bisogna stare al passo con la tecnologia. Il rifiuto è diventato come il maiale, per cui si utilizza tutto: dall’alluminio, al ferro, alla plastica, al cartone. Abbiamo per questo un impianto di selezione. Del resto l’impatto ambientale è determinante per il futuro dell’uomo. Ormai si lavora in green. Dal 2022 ci sarà la plastica-free. Compreso l’indotto si dà lavoro a quasi 200 persone. Comunque io sono l’unico della famiglia che segue il calcio. Mio nonno che non c’è più, che si chiamava come me, ebbe l’intuizione dell’affare dei rifiuti. Una volta era tutto diverso, il rifiuto andava in terra perché non c’era plastica, vetro o quant’altro». I colori della Sicula Leonzio sono il bianco e il nero. Due tinte che a lei non danno fastidio… «Vero. Io seguivo la Juve, a volte anche in Champions ed ero abbonato del Catania quando giocava in A ma da quando ho la Sicula la maggior parte della mia energia è dedicata a lei. La Juve è stato un grande amore ma ora è diverso. A volte se posso scegliere vado a vedermi una sfida di serie C invece che guardarmi una partita di A in televisione». Da piccolo juventino qual era il suo idolo? «Non ce n’era uno in particolare, era più un concetto di collettivo. Certo che alcune parate di Buffon non le potrò mai scordare. Come certi gol in rovesciata di Trezeguet, uno così, potessi, lo andrei a prendere domani!». Attualmente solo Zhang, presidente dell’Inter, è più giovane di lei. In 7 anni è passato dalla Promozione alla serie C. In cosa vorrebbe vedere migliore la Lega Pro? «Direi dal punto di vista finanziario. Abbiamo stessi oneri delle società di serie B e A ma con introiti completamente diversi e inferiori. Vedo a fine mese la tassazione dei giocatori, il costo lavoro dei calciatori ammazza i club: se a un giocatore dò 10, a me costa 20. Non dico che non si debbano pagare le tasse ma come sta cercando di fare il presidente Ghirelli bisognerebbe creare questi fondi da accantonare per poterli dirottare nelle strutture sportive e nei settori giovanili. Sarebbero costi che diventerebbero virtuosi. La moria di società deve far riflettere. Il calcio è passione e non bisogna farla morire. A volte non bastano manco gli esborsi personali. Confido in un disegno di legge o un concordato tra Lega e Ministero che ci agevoli in tal senso. Del resto il calcio come lo sport in generale spesso va aldilà della sua mission specifica tecnica. E’ un fattore aggregante dal punto di vista sociale. Togliamo dalla strada tanti ragazzi che da certe realtà è meglio che stiano lontani». Parliamo del vostro stadio che avete riportato a nuovo. Quali migliorie? «La vera vittoria è questa. Una sede fruibile, con tutti gli uffici direzionali. Uno stadio piccolino con 3500 posti ma che è un gioiellino. C’è anche un mosaico per terra nel nostro spogliatoio. Diciamo pure che è il fiore all’occhiello». Lei prima ha fatto cenno alla sua formazione culturale di stampo salesiano. Cosa le ha insegnato soprattutto? «Mi ha insegnato a vivere nella comunità: non ho mai fatto uno sciopero nè ho mai “tagliato” scuola. Molti miei ex compagni si stanno affermando come avvocati, commercialisti e quindi ricordo con piacere tutto l’ambiente, anche quei professori che magari hanno regalato qualche materia da studiare in estate. Ricordo con grande piacere il rapporto franco con i professori, uno scambio che non era solo culturale». Quando ha detto “Papà, compro la Sicula Leonzio”, lui cosa ha risposto? «Non è andata proprio così. Gli ho prospettato questo mio desiderio, legato alla volontà di riportare il calcio a Lentini che è un territorio dove lavoriamo. C’era un’opportunità, non ho grandi vizi e lui ha capito che questa mia passione si poteva assecondare. E’ nato quasi per scherzo, ora è tutto serio ma la soddisfazione è enorme. In serie D abbiamo ottenuto per esempio 15 vittorie di fila, ancora una ed eguagliavamo il primato di Mourinho con l’Inter». Il target per i prossimi 5 anni? «Continuare a giocare in C, magari realizzare una plusvalenza e costruire il centro sportivo».