Tuttosport: “La Palermitana Conti ha stregato il Venezuela: «Sono cresciuta in mezzo alla strada e ho dovuto conquistarmi tutto da sola»”

L’edizione odierna di Tuttosport si sofferma sulla palermitana Pamela Conti.

Guardando negli occhi Pamela Conti, grazie a Meet, che si alza alle 5.30, ora di Caracas, per rispondere alle nostre domande, mentre frequenta un corso della Conmebol, di dieci ore giornaliere, per diventare formatrice dei formatori degli allenatori e allenatrici in Venezuela, capisci subito che il carattere è il suo pregio più grande. Carattere e determinazione che l’hanno portata nel 2019 a diventare Ct delle Vinotinto, conquistando l’oro ai Giochi Sudamericani dell’anno scorso.

Qual è lo stato dell’arte del calcio femminile in Sud America, sia dal punto di vista sportivo che culturale? «Rispetto all’Europa è molto indietro. Un po’ perché non ci credono, un po’ perché mancano le risorse economiche, anche se si potrebbe fare di più».

Con il Venezuela ha vinto l’oro ai Giochi Sudamericani, sintesi di un percorso o trampolino di lancio per altri trofei? «Trampolino di lancio per altri trofei. Il Venezuela a livello giovanile è una potenza in Sud America, ma dopo l’Under 20 le ragazze vanno via dal Paese. Quest’anno il campionato è durato solo tre mesi e per gli altri nove sono rimaste ferme, complicando le cose».

Se dovesse consigliare qualche giocatrice delle Vinotinto ai club italiani quale nome farebbe e perché? «Mariangela Jimenez, attaccante, e Gabriela Angulo, difensore, entrambe 2004 ed entrambe frequentano e giocano con le rispettive squadre dell’università negli Stati Uniti, Raiderlin Carrasco, 2002, attaccante anche lei, gioca in Spagna nello Sporting Club de Huelva, Barbara Olivieri, punta ventunenne del Monterrey – Messico –, e Barbara Flores, 2003, centrocampista del Tenerife. Le ho avute con me nell’Under 20, sono brave sia come calciatrici che come ragazze e hanno una voglia matta di arrivare».

Nata e cresciuta nel quartiere di Ballarò, a Palermo, cosa si è portata dietro di quel luogo nel suo girovagare calcistico? «Penso il carattere. Sono cresciuta in mezzo alla strada e ho dovuto conquistarmi tutto da sola. Quello che ho fatto e i risultati che ho ottenuto sono il frutto del mio sudore. Nessuno mi ha mai regalato niente. Sono dove sono grazie ai sacrifici e al talento».

Ha giocato in Italia, Spagna, Russia e Svezia: quale di questi Paesi ha fatto più progressi nel calcio femminile? «Quello che ha fatto più progressi è la Spagna. Quando ci giocavo, quindici anni fa, dissi che sarebbe diventata una potenza mondiale nel calcio femminile e così è stato. Ho giocato insieme ad Alexia Putellas nell’Espanyol e si vedeva che era un fenomeno, anche se non credevo che potesse diventare così forte».

Dodici trofei vinti da calciatrice, uno da allenatrice. Quale l’è rimasto più nel cuore? «Io amo vincere ma quello che conta, per me, è avere la riconoscenza delle giocatrici, poterle guardare negli occhi, sapere che in quello spogliatoio è rimasto qualcosa di me che ha fatto la differenza».

Le prime esperienze negli staff tecnici femminili di Atletico e Real Madrid, poi la chiamata del Venezuela. Come è arrivata? «È accaduto in un modo strano. Avevo dei contatti in Venezuela e mi hanno cercata per sapere cosa ne pensassi di un’allenatrice italiana che volevano ingaggiare, ma lei ha detto di no e così l’hanno chiesto a me. Dall’invio del mio curriculum alla loro chiamata sono passati cinque minuti».

Come è percepito il calcio femminile in Venezuela? «Quando sono arrivata il Venezuela femminile era al sessantaseiesimo posto del ranking Fifa, adesso siamo cinquantunesime. In questi quattro anni abbiamo fatto la storia: prima vittoria contro il Cile, primo gol segnato al Brasile, vinto ai rigori contro l’Argentina, tornare a vincere contro il Perù dopo quattordici anni, medaglia d’argento ai Giochi Centroamericani e del Caribe. Eppure la sconfitta in finale contro il Messico è stata una tragedia nazionale, nonostante ci fossimo qualificate per la prima volta ai Giochi Panamericani».

Il 24 luglio l’Italia di Milena Bertolini fa il suo esordio al Mondiale contro l’Argentina. Che avversario deve aspettarsi? «Un avversario duro con ottime calciatrici come Florencia Bonsegundo e Yamila Rodriguez. Giocano fino alla fine e sono molto fisiche, non tolgono mai il piede e se possono ne mettono due».

Da France 2019 a England 2022 abbiamo visto due nazionali completamente diverse, che Italia vedremo in campo in questa manifestazione iridata? «È in corso un cambio generazionale, con un bel mix tra esperienza e gioventù che penso possa aiutare la Nazionale a dare il meglio di sé; mi auguro che faccia bene per la crescita del movimento italiano».

Pregi e difetti della Nazionale? «Siamo molto preparate a livello tattico e le avversarie faranno fatica a farci gol. Di contro non esprimiamo un gioco spettacolare».

Novantaquattro partite, ventisei reti e due Europei (2005 e 2009) con l’Italia. Cosa significa vestire la maglia azzurra? «È stato un sogno poter rappresentare il mio Paese, ma non solo. Ho reso orgogliosi i miei genitori che mi hanno sempre appoggiata nella volontà di diventare una calciatrice professionista».

Cosa manca ancora al calcio femminile per fare il definitivo salto di qualità e per avere l’attenzione globale senza ogni volta doverla sudare? «È una questione culturale, siamo un movimento ancora vergine. Nel 2030 per il calcio maschile saranno cento anni dal primo Mondiale, quindi è solo una questione di tempo e credo che fra quindici anni non ci faremo più queste domande».

Torres e Venezuela, dall’anno scorso anche l’Under 20, sono le sue esperienze, da calciatrice e da allenatrice, più longeve. Ha buttato le valigie? «In Venezuela, a Caracas, sto bene. Però è normale che un’allenatrice guardi sempre avanti, nel calcio e nella vita non sai mai cosa può accadere. No, non le ho buttate via, sono sempre pronte (ride, ndr)».

Un sogno realizzato e quello da realizzare? «Diventare allenatrice professionista e portare il Venezuela al Mondiale».

Cosa diresti alla Pamela quindicenne? «Di comportarsi meglio».