“Viene da piangere, fratelli d’Italia, mentre scriviamo queste righe. Viene da piangere perché alle 23 e 48 di una notte atlantica abbiamo ceduto lo scettro del destino, alla fine, proprio a loro, ai tedeschi. Ci siamo arresi, gettando in un buco nero la maledizione – che era tutta loro – del “perdiamo sempre, contro gli azzurri”. Invece stavolta no. E viene da piangere, più ancora, perché ai rigori, l’unico strumento in cui la Germania si è dimostrata migliore di noi, abbiamo anche avuto la possibilità gigantesca di farcela, ancora una volta. Dopo il palo di Özil. Eravamo in vantaggio. Ma Pellè ha tirato fuori, come prima Zaza. Poi Bonucci ha cambiato angolo, rispetto all’1 a 1 del secondo tempo, e ha picchiato contro Neuer. Infine, a oltranza, dopo un’altra lunga psicoterapia di gruppo: Darmian parato. Ed Hector in gol. Addio. Che rabbia, sì. E che peccato. Ce l’avevamo quasi fatta. Eravamo andati a Roma, anche se eravamo a Bordeaux. E non abbiamo visto il Papa. Grazie lo stesso, certo. Ma cosa conta, cosa vale, cosa resta, nel cuore ucciso? Rimane, giusto per la cronaca, non certo per i sentimenti, il flusso di coscienza della partita. Salta subito Khedira La prima mossa sullo scacchiere l’aveva compiuta Löw. Si era ripassato mentalmente le pugnalate già date in questo Europeo da Giaccherini e gli è venuta definitivamente l’orticaria, prefigurando il confronto con Kimmich: esterno più votato all’offensiva. E così ha davvero smontato e rimontato il 4-2-3-1 d’ordinanza della superpotenza tedesca (impostato su 2 esterni iperoffensivi), rinunciando a Draxler: che pure nel match precedente con gli slovacchi aveva spaccato anche i peli nell’uovo. A destra Löw ha immesso Höwedes, difensore dello Schalke, Benedikt di nome, confidando appunto in una benedetta sorpresa. Passando ordunque a una retroguardia fissa a 3, come nella vittoriosa amichevole di marzo, contro di noi. Con Kimmich a quel punto più libero, avanti. Conte ha invece fatto le cose facili, e in partenza più logiche. De Rossi in panca, ancora parzialmente bollato alla coscia, e dentro Sturaro, come da consegne della vigilia. Davanti alla difesa, a fare da schermo e da geometra delle ripartenze, Parolo: diligentissimo, pur nell’inusuale ruolo. E così si è dipanata una lunghissima e straordinaria contesa intessuta di mosse e blocchi, da boxeur che si studiano con maniacale attenzione, prima di tentare un’infilata. Noi, tatticamente più lineari, e sereni: non solo eccezionalmente rocciosi e aggressivi. Loro, più mobili nel camaleontismo, tra le danze accompagnate di Müller e Özil sulla trequarti, con Kroos regista arretrato. Il tutto, transitando attraverso i muscoli di cristallo di Khedira, saltati all’inguine al quarto d’ora. Cambio, dentro Schweinsteiger. Sguardo d’insieme a fine primo tempo: un po’ meglio noi, strada facendo, per la potenza della BBC, con Bonucci sommo direttore d’orchestra; per la fisarmonica collettiva della fase difensiva (i tedeschi sono finiti sovente nell’imbuto); e per la ripetuta propensione a punzecchiarli sulle corsie (De Sciglio in primis), nonché sulla trequarti, con Giaccherini ed Eder. Due brividoni, poco prima del proverbiale tè caldo: uno per Buffon, dopo un’azione degna d’un flipper, con Müller che gli tirava in bocca un rigore in movimento; e uno per Neuer, per via di un diagonale micidiale di Sturaro, deviato in extremis da Boateng. Illusione Boateng Ma nella ripresa l’abbiamo pagata cara l’epifania di una presunzione improvvida. Ci siamo fatti sorprendere subito e schiacciare, e ci siamo anche spaventati, e disuniti. Sono emersi quasi all’improvviso, qua e là, limiti nella cifra tecnica. Tanto più di fronte a una Germania evidentemente liberata innanzi tutto nella testa, da Löw. Dapprima Florenzi (che pure aveva di nuovo smarrito male un pallone da paura) riusciva con un tuffo carpiato a deviare in angolo di tacco, a due passi dalla porta, una sventola di Müller destinata all’angolino. Poi ci consegnavamo al 20′: ancora il giallorosso, di nuovo in tilt, respingeva goffamente un rilancio chilometrico di Neuer, e da lì partiva un colpo di scimitarra, fulmineo: Gomez per Hector, cross sporcato da Bonucci e tocco in anticipo di Özil, 1 a 0. Sembrava finita, poteva essere finita. Invece no, fratelli d’Italia. Perché dapprima Buffon, con maestosa, inimitabile virtù spingeva sopra la traversa un mezzo rimpallo Chiellini-Gomez. E perché poi piano piano ricarburavamo, con artigiano spirito di resistenza, tirandoci su l’anima col cuore in mano e la testa lucida, fino a conquistare un rigore mostruoso: Boateng si trasformava in un pallavolista fuor di senno, e Bonucci dagli 11 metri inaridiva l’opera e il morale dei crucchi. Tanto che dopo ci caricavamo noi, sull’onda dell’entusiasmo, provando pure a stecchirli. Ma il romanziere della vita ci faceva salire sull’ansia dei supplementari. E allora, come spesso accade: stallo fattuale sulla scacchiera, per 15′, pur se ci provavano tutti a giocarsela. Conte esibiva il jolly: Insigne, per Eder. E alla fine (il futuro condannato) Zaza (out Chiellini), per i rigori. Maledetti“. Questo quanto si legge nell’edizione odierna di “Tuttosport”.