“«No, guardi: non sarebbe comunque stato un lunedì da presidente perché quel ruolo spettava a Beniamino Anselmi… In ogni caso l’ho passato da tifoso: dispiaciuto perché il Genoa avrebbe potuto pareggiare e invece non c’è riuscito». Giulio Gallazzi è in partenza per Londra dove hanno sede gli uffici della SRI Group, la finanziaria che ha fondato e di cui è Ceo, nella settimana in cui Enrico Preziosi ha sancito la “chiusura” della trattativa per la cessione del suo Genoa al finanziere bolognese. «Non ci sono le condizioni» ha chiuso Preziosi. Non c’erano davvero, Gallazzi, le condizioni perché lei comprasse il Genoa? «Nelle trattative ci sono due parti. Noi, quella acquirente, abbiamo presentato la nostra migliore offerta. Tenga conto che l’investimento non è solo quello dell’acquisto, ma pure il piano di rilancio su tre o cinque anni che, in ogni caso, non deve pesare sulla parte venditrice e noi non l’abbiamo fatto. La parte venditrice, però, non era d’accordo sull’offerta. Però mai dire mai…». Dica la verità: sembra un poco stizzito con Preziosi… «Onestamente non lo capisco. Mi spiace per i toni che ha usato negli ultimi giorni, anche perché il nostro è un gruppo di persone le cui storie e carriere professionali non sono mai state all’insegna dell’azzardo o dell’apparenza. Non era, la nostra, un’operazione di facciata. Ma, detto questo, aspettiamo di vedere quel che succederà». Senta, ma alla fine a quanto ammontano i debiti del Genoa? «Mi scusi, ma a questa domanda non posso rispondere: siamo vincolati da un patto di riservatezza che prevede una pesante penale in caso di violazione. Qualora i legali della controparte mi autorizzassero,
non avrei problemi a riferire su tutto». Nel suo passato di sportivo – peraltro ad altissimi livelli – non c’è mai stato molto spazio e per il tifo calcistico: perché questo innamoramento per il Genoa? «E’ vero: il calcio l’ho sempre frequentato molto di striscio anche perché io arrivo da Bologna che è stata capitale italiana del basket. Con Genova, però, ho sempre avuto un rapporto professionale molto stretto e sono rimasto affascinato dalla storia di questa società». Davvero nessun interesse imprenditoriale? «Se si ragiona da imprenditori, obiettivamente non esistono altre società che possano unire tradizione, valore del marchio e potenzialità di sviluppo come il Genoa. E che, ovviamente, siano anche in vendita…». Immagino che si sia guardato attorno, prima di impostare questo “sbarco” nel calcio: quali sono le sue società di riferimento? «Ci faccia caso: negli ultimi 7 anni i vertici europei sono stati conquistati da club che hanno un azionariato diffuso: Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco. E’ quello il modello a cui tendere: azionariato e management fortissimo a dirigere il club. Per l’Italia sarebbe un’assoluta novità. In Italia, a parte il Milan che è sostenuto da un progetto finanziario, il modello prevalente è ancora quello delle società che fanno capo a un proprietario o a un gruppo industriale che, poi, spesso, sono la stessa cosa. Questa, per l’Italia, sarebbe una novità assoluta che terrebbe conto anche delle nuove necessità di finanziamento». Da questo punto di vista il calcio italiano non se la passa benissimo: immagino ne sia al corrente. «Certo. Uno dei problemi fondamentali del nostro calcio è che i club hanno pochissimo capitale e un alto indebitamento a breve termine. Non esistono quasi in nessun club dei piani finanziari di lungo periodo, così il sistema si regge sulle plusvalenze ed è sempre in affanno per onorare le scadenze, magari cartolarizzando gli incassi o i proventi dei diritti tv. Vede, per gli ambienti finanziari è normale che il Manchester United emetta un bond per finanziare la propria attività, in Italia – per ora – è impensabile». Londra è praticamente casa sua: ha notato qualche… differenza tra la Premier e il nostro calcio? «Abissali. La loro logica è quella della valorizzazione globale del prodotto e, infatti, questo determina una crescita globale del profitto e di conseguenza della competitività. C’è stato un lavoro enorme sul tifo e sull’impiantistica: l’atmosfera, in Premier, è unica. Il management delle società e della Lega, infine, è importantissimo per la valorizzazione del marchio». Nella nostra Serie A dominano ancora i presidenti, non i manager… «L’unica delega che avrei tenuto al Genoa era proprio quella per partecipare ai lavori della Lega, io che non avrei fatto il presidente». Mi faccia capire: niente intromissioni sul mercato o sulla gestione sportiva. Tipo i suggerimenti all’allenatore per la formazione? «Ma per carità! Io non capisco di calcio, ma di finanza. Avrei scelto dei manager – un dg, un ds e un direttore finanziario – ai quali affidare piani sportivi e finanziari. Queste professionalità non vanno interpretate come costi, ma come risorse che si ripagano con la progettualità. Una società destrutturata non va da nessuna parte ed è sempre in affanno per rincorrere le scadenze. E, mi creda, parlo in generale…»”. Questo quanto riportato dall’edizione odierna di Tuttosport.