“Trazzeri”: Ritratti e storie rosanero – Alfredo Lo Cicero, Haiti rosanero!
Prima Repubblica al mondo ad avere avuto un governo di neri, Haiti situata nel Mar dei Caraibi, è anche il paese più povero delle Americhe. Devastata il 12 gennaio 2010 da un tremendo terremoto, che ha lasciato dietro di sé più di 200.000 morti e oltre 2 milioni di persone senzatetto, il Paese sta cercando, a 6 anni di distanza da quel spaventoso sisma, di rinascere dalle proprie ceneri, grazie anche all’opera dell’Organizzazione umanitaria “Oxfam Italia” impegnata da oltre 30 anni nella lotta alla povertà e all’ingiustizia. Qui ad Haiti, abbiamo incontrato questa settimana il nostro amico Alfredo Lo Cicero, componente della “Oxfam Italia” e Capo Progetto di una missione che ha lo scopo di aiutare la gente del posto a migliorare le proprie condizioni di vita, fornendo sostegno e risorse adeguate e cercando di favorire processi di sviluppo sostenibili.
Ben trovato Alfredo e grazie per aver accettato il nostro invito. Possiamo definirti l’uomo con la valigia in mano?
«Sì, penso proprio di sì, per la disgrazia di mia moglie poiché viaggio dai tempi dell’Università. Questa professione mi obbliga a stare fuori perché lavoro nei Paesi in via di sviluppo, quindi sono sempre e costantemente con la valigia in mano. Svolgo missioni da 1 a 3 anni in quei Paesi del Mondo, che voi conoscete tramite i Media, mentre io, invece, ci sono completamente dentro. Attualmente sono Capo Progetto di un programma di sviluppo facente capo all’Organizzazione Internazionale Oxfam e ne gestisco tutta la messa in atto: creazione degli uffici, delle attività, monitoraggio dei risultati e valutazione finale a chiusura del progetto».
Il tuo lavoro ti ha portato a contatto con realtà spesso difficili da raccontare. Qual valore aggiunto può rappresentare lo sport in generale ed il calcio in particolare in quei Paesi dove l’emergenza primaria rimane la lotta alla povertà ed il riconoscimento dell’uguaglianza sociale?
«Nel paese dove attualmente mi trovo lo sport è un valore molto forte, ad Haiti ci sono enormi problemi di disuguaglianza economica e di povertà, si trova nel cuore dei Caraibi e confina con la Repubblica Domenicana, che ha ben altre situazioni economiche e sociali. In questo Paese, i diversi gruppi e le diverse comunità trovano gli unici momenti di gioia e di coesione attraverso il calcio. Sono grandi amanti di questo sport, principalmente di quello brasiliano, argentino e anche un po’ di quello italiano e davanti ad un pallone diventano tutti amici, tutti si impegnano. E’ una cosa bella ed utile anche per noi che facciamo questo lavoro, a volte, infatti, utilizziamo le attività sportive come mezzo di coesione sociale. Costruendo, ad esempio, un terreno di basket o di calcio, gli haitiani si impegnano a mantenerlo e lo gestiscono a livello comunitario mostrando una forma di partecipazione e di cittadinanza attiva nella gestione di un bene pubblico che altrimenti non avrebbero occasione di poter fare».
Come è nata la tua passione per i colori rosanero?
«Nasce da molto lontano, ho 46 anni e ricordo che a 6 anni mio papà mi portò allo stadio, come penso capiti a tutti i tifosi rosanero, a vedere Palermo–Udinese. In quella squadra giocava Vito Chimenti che tra l’altro fece la sua famosa bicicletta proprio davanti al posto dove io stavo seduto. Il Palermo perse 1-0, ma quei colori e quell’incredibile gesto atletico bastarono per farmi capire, già a 6 anni, che quella era una strada che portava lontano, almeno nella mia passione. Mi innamorai di quella maglia e di quell’ambiente e da lì cominciai a chiedere a mio padre di portarmi sempre allo stadio e di comprarmi l’album dei calciatori e le figurine, anche se in realtà mi interessava solo completare la squadra del Palermo».
Durante le tue missioni umanitarie in giro per il mondo, come sei riuscito ad organizzarti per seguire le vicende del Palermo?
«In tutti i modi possibili, devo dire che adesso Internet mi comincia ad aiutare un po’ di più rispetto a quando ho iniziato. Diciotto anni fa non c’erano queste reti di connessione. Ci sono Paesi dove è più facile perché trasmettono in televisione e la connessione per vedere le partite in streaming è più accessibile. Ricordo anche la mia prima missione ad Haiti nel 2005. Internet non era ancora molto diffuso ed io stavo in un paese distante 50 km dalla Capitale. Per permettermi di vedere il Palermo, la Radio e la Televisione locale si misero a disposizione per captare i segnali della stazioni satellitari dei canali americani che trasmettevano il calcio italiano. Furono davvero molto gentili con me, ogni domenica o il sabato andavo a trovarli e loro rinunciavano a seguire il Barcellona, per vedere insieme a me le partite del Palermo. In quel periodo, era una squadra davvero molto divertente, erano gli anni di Luca Toni e Lamberto Zauli!».
Qualche anno fa hai ricoperto il ruolo di opinionista sportivo in un programma trasmesso da una nota TV privata di Palermo. Ci racconti la squadra rosanero che commentavi in quel periodo e che ricordi hai di quella esperienza?
«E’ stata una bellissima esperienza, devo sempre ringraziare chi mi ha permesso di farla e vorrei fare un nome su tutti: Michele Sardo. E’ sempre stato un amico a cui devo dire soltanto grazie per l’opportunità che mi ha dato. Mi ha permesso di coltivare una passione, di raccontare un po’ il calcio e il Palermo di allora, quello della fase ascendente, del Presidente Zamparini e dei campioni incredibili che abbiamo avuto. Era un bel modo di parlarne, a quei tempi si giocava un calcio allegro e propositivo e in qualsiasi campo si andava c’era la sensazione di potersela giocare con tutti, al di là di quello che poi poteva essere il risultato finale. Anche in radio ho fatto qualcosa, raccontavo il calcio degli altri Paesi, coniugando questo sport con la passione sociale».
Rispetto agli anni della tua adolescenza come è cambiato, secondo te, il tifo palermitano?
«E’ molto cambiato, prima c’era un tifo più familiare e le curve erano unite. Quando da ragazzino andavo in curva mi sentivo tranquillo, come protetto, c’erano i club storici ma ognuno faceva il tifo per il Palermo. Oggi è nettamente diverso, gli interessi sono entrati in curva e, senza voler fare polemica con nessuno, penso sia chiaro che la curva si è divisa per ragioni non prettamente calcistiche, ma gestionali. Questo si ripercuote negativamente sui risultati del Palermo, perché un tifo coeso dà chiaramente più spinta alla squadra».
Hai un sogno nel cassetto, legato alla squadra rosanero, che speri un giorno possa realizzarsi?
«Ho visto due finali di Coppa Italia: Palermo-Juventus a Napoli e Palermo–Inter a Roma. Io non pretendo chissà ché, ma se riuscissimo finalmente a vincere questa benedetta Coppa sarebbe per me un grandissimo risultato».
Quando sei fuori, cosa ti manca maggiormente della nostra città?
«Dal punto di vista affettivo mi mancano tantissimo le mie bambine, mia moglie e la mia famiglia. Essendo anche un tipo molto pragmatico dico che mi manca molto la pasticceria palermitana e la nostra cucina».
C’è un saluto particolare che vuoi mandare ai nostri amici che ci seguono?
«In un momento così difficile invito tutti a stringerci intorno alla maglia. I presidenti, i giocatori, gli allenatori passano, la maglia è l’unico patrimonio che abbiamo e che ci unisce, nei limiti del possibile. Spesso ci fa anche dimenticare i problemi della nostra città. Tifare la maglia significa tifare per una città migliore, per un palermitano migliore. Tirate fuori la maglia rosanero che avete nel cassetto, come faccio io, che quando la prendo, la tengo un attimo in mano, la guardo e dico: “Beh, alla fine di tutta questa avventura, posso proprio dire che ne è valsa la pena!”».