“Trazzeri”: Ritratti e storie di emigranti rosanero – Maurizio Greco, DNA Rosanero!

Continua il nostro viaggio virtuale, in giro per il mondo, alla scoperta dei nostri emigranti rosanero. Questa settimana abbiamo fatto tappa in Austria, più precisamente ad Schlins, un paesino di circa 2.300 abitanti, al confine con la Svizzera e dove, da diversi anni, vive il nostro amico Maurizio Greco.

Ciao Maurizio e grazie per aver accettato il nostro invito, quando hai deciso di trasferirti a Schlins e come è stato il tuo processo di ambientamento?

«Sono venuto in Austria nel 1990, non per lavoro, ma per motivi personali e sentimentali. Prima di venire qui, ho vissuto per qualche anno a Londra, dove ho conosciuto la mia attuale compagna, originaria di Schlins. Tornato in Italia, a Bergamo, per diverso tempo, nei fine settimana, facevo avanti e indietro, fino a quando ho preso la decisione di trasferirmi definitivamente in Austria. Devo dire che mi sono trovato benissimo, non è vero quello che si dice degli Austriaci, che sono antipatici e freddi, certamente non c’è il calore mediterraneo, ma non ho mai avuto problemi di integrazione. Parlavo solo l’inglese, il tedesco l’ho imparato qui. A Bergamo avevo un buon lavoro, ma ho lasciato tutto e ho iniziato una nuova vita. All’inizio ho lavorato in una fabbrica come operaio, poi dopo aver imparato la lingua mi sono inserito in un’azienda come impiegato e dopo varie funzioni di responsabilità sono diventato Direttore Commerciale».

La tua storia di emigrante è abbastanza singolare, tu andasti via da Palermo in tenera età e di solito quando si è così piccoli ci si dimentica della città di provenienza. Tu, invece, sei riuscito a mantenere la tua identità di palermitano e crescendo non ha mai tradito i colori rosanero. Come è stato possibile rimanere fedele alle proprie radici?

«Quando i miei si sono trasferiti a Bergamo io avevo circa 3 anni e mezzo. Lasciammo Palermo in autunno, i colori della nostra città sono molto diversi, noi abbandonammo quei caldi colori per trovare il grigiore del nord. Quello fu il mio primo colpo al cuore e il mio cervello da bambino pensò “ma chi ce l’ha fatto fare a venire qua?” Ricordo ancora quando abitavamo vicino al Capo e andavo al mercato con mia madre a fare la spesa, al gelato preferivo le patate bollite, tanto che mi chiamavano “u patataru”. A Bergamo mi sono integrato bene, non ho mai avuto nessun problema. Alle elementari, però, mi ritrovai in un classe dove per metà eravamo siciliani e per metà bergamaschi. Nacque così il campanilismo calcistico: bambini tifosi del Palermo contro bambini tifosi dell’ Atalanta. Spesso scoppiavano delle risse e vincevamo quasi sempre noi. Quando non le prendevo, il resto delle botte me le dava mio padre, quando tornavo a casa. Sono cresciuto tifoso rosanero anche grazie ai miei genitori che hanno conservato intatte tutte le usanze siciliane. Mio padre era un grande tifoso del Palermo e mia madre non smise mai di cucinare i nostri piatti tipici, divertendosi a spiegare le nostre ricette alle signore bergamasche. Anche lo scorso anno, per Santa Lucia, ha preparato le arancine per offrirle alle vicine di casa».

Negli anni della tua adolescenza, il Palermo militava nelle serie cadette, poi dal 2002 iniziò quella rinascita del calcio palermitano che culminò nella storica promozione in serie A. Cosa rappresentò per te quell’evento, vivevi già fuori dall’Italia?

«Quando mi sono trasferito in Austria il Palermo era in serie C. Internet non c’era e i giornali italiani arrivano il giorno dopo la loro uscita. Tutti i martedì mi facevo 10 chilometri di strada per andare a comprare la Gazzetta dello Sport del lunedì, solo per leggere quelle quattro righe che dedicavano al Palermo. Ero isolato, ho vissuto per tanti anni la mia passione da solo e non è stato bello. Ma non mi importava, perché tutte le volte poi che riuscivo ad andare a vedere una partita, ritrovavo me stesso. Con l’avvento di Internet, ho conosciuto molti altri tifosi rosanero che come me vivono lontano da Palermo ed insieme a loro ho fatto diversi raduni in giro per l’Europa e tante trasferte. La promozione in serie A fu il momento più felice della mia vita, ero in città per vedere Palermo–Triestina e le emozioni vissute quel giorno non si possono descrivere. C’è anche un’altra partita che voglio ricordare, Ascoli- Palermo del 13 maggio 2001, l’anno della promozione dalla C alla B. Mi trovavo in Australia ed ero sulle spine, così telefonai a mio padre per avere notizie. Leggendo i risultati dal televideo, mio padre mi disse che il Palermo aveva vinto, ma che in merito alla promozione non c’era scritto nulla. Mi allarmai parecchio, poi però compresi che ero stato io a fare confusione con il calcolo del fuso orario, in Italia infatti erano appena finiti i primi tempi delle partite. Richiamai perciò mio padre e telefonicamente festeggiai con lui il rigore sbagliato dal Messina e il ritorno in serie B del Palermo».

Avendo trascorso la tua infanzia a Bergamo, inevitabilmente hai imparato a parlare il dialetto bergamasco. Ci racconti di quella volta che viaggiando in aereo hai fatto un insolito incontro?

«E’ stata una brutta esperienza, viaggiavo sul volo Palermo-Milano in compagnia di mio padre, dopo aver visto la partita contro il Siena. Mi ritrovai casualmente seduto accanto ad un giocatore del Palermo. Dapprima non l’avevo riconosciuto, avevo però notato la sua aria arrogante e supponente. Arrivati a destinazione, decisi di usare il mio accento bergamasco per capire cosa pensasse di Palermo. Lui abboccò all’amo e mi parlò malissimo dei palermitani, della nostra città e di Mondello, dicendomi che rimaneva solo perché era ben pagato. All’epoca mi indignai tantissimo e scrissi una lettera anche al Presidente. Andato via da Palermo quel giocatore poi finì nel dimenticatoio».

Il tuo lavoro ti ha portato spesso in giro per il mondo, come ti sei organizzato in questi anni per seguire vicende del Palermo? Ti è mai capitato di trovarti in posti impensabili e in situazioni alle quali non avresti mai pensato pur di riuscire a vedere una partita dei rosanero?

«Grazie ad Internet, ho seguito il Palermo ovunque in giro per il mondo, prima di partire, infatti, mi informavo sulla possibilità di poter vedere le partite. Tante volte a causa del fuso orario, le mie urla notturne svegliavano gli ospiti degli alberghi dove mi trovavo».

La tua professione ti mette a contatto con diverse realtà del Pianeta. Qual è secondo te, il giudizio degli stranieri sul Palermo e sulla nostra città?

«C’è chi non la conosce proprio, chi confonde Palermo con Napoli, chi conosce solo la parte negativa. Devo dire che i successi in campo calcistico degli anni passati hanno aiutato moltissimo a far conoscere Palermo. Grazie al calcio gli stranieri si sono interessati alla città valutandola in maniera positiva».

Fra le tantissime trasferte al seguito della squadra, quale ricordi con più affetto e nostalgia e perché?

«Sono tantissime le trasferte che ricordo con affetto, la vittoria a Venezia del 2003 con i gol di Codrea e Maniero, le prime trasferte in serie A, a Milano, Torino, Roma con il gol su punizione di Fabio Grosso; le trasferte in giro per l’Europa, in Spagna contro l’ Espanyol, in Germania contro l’Eintracht Frankfurt, a Londra contro il West Ham. Sono tutte bellissime e particolari, vissute con grande emozione!».

Considerato che quando sei andato via dalla nostrà città eri davvero piccino, cosa rappresenta il Palermo per te e cosa ti manca della città?

«Il Palermo calcio è il punto di contatto con la città dove sono nato, di cui sono orgogliosamente cittadino, anche se non ci abito, e del quale ho ereditato il mio DNA. Rappresenta le mie radici. Vivendo all’estero e con il lavoro che svolgo, frequento persone di tutto il mondo e di Palermo mi manca il focolare. C’è un’espressione in inglese per definire casa ed è “Home”. Una cosa è avere una posto dove dormire, una cosa è poter dire “questa è casa mia”. La mia, chiaramente, è a Palermo, anche se non ci ho vissuto. I miei genitori hanno fatto si che io non perdessi le tradizioni siciliane e l’amore per la nostra Terra e quindi Palermo è casa mia!».

Vuoi salutare gli amici che ci leggono e qual è tuo augurio alla nostra squadra?

«Saluto tutti i tifosi palermitani e spero che si abbandonino presto i conflitti interni che mi fanno stare male. Come diceva Delio Rossi “I presidenti, i giocatori e gli allenatori passano, il Palermo invece resta”. L’augurio è di salvarci e mi piacerebbe che Palermo ritrovasse lo stesso splendore dei primi anni di serie A, perché ritengo che in una Piazza come la nostra ci siano tutte le potenzialità per tornare a far bene anche in Europa».

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Redazione Ilovepalermocalcio