“Trazzeri”: Ritratti e storie di emigranti rosanero – Giuseppe Romano, Braveheart rosanero!
Secondo appuntamento con la nostra rubrica ”Trazzeri“: ritratti e storie di emigranti rosanero. Questa settimana abbiamo incontrato Giuseppe Romano, più semplicemente Pino, “cuore impavido rosanero”, che da tantissimi anni, ormai, vive e lavora a Colmar, in Francia.
Ciao Pino, grazie per essere qui con noi. Sono passati davvero tanti anni da quando sei andato via da Palermo. Esattamente, quando hai deciso di emigrare e perché?
«Ho deciso di andare via nel 1986, subito dopo la radiazione del Palermo. Avevo 20 anni e non riuscivo a trovare lavoro, alcune persone, inoltre, mi prendevano in giro con vane promesse. Nel frattempo arrivò questa maledetta radiazione e la delusione che provai fu davvero forte e difficile da sopportare. Eravamo ancora in estate, così decisi di prendere la moto e di andare via, il più lontano possibile. In quel periodo vivevo di calcio e aspettavo la domenica solo per andare allo stadio; il Palermo per me è un amore infinito, nato grazie a mio zio Totò che nel lontano 1969 mi portò alla Favorita a vedere la partita Palermo-Cagliari».
Qual è era il tuo quartiere d’origine e qual è stato il tuo impatto con un’altra realtà?
Hai avuto difficoltà ad inserirti in un ambiente così diverso dal nostro?
«Sono originario di Mondello, uno dei posti più belli di Palermo. Vivevo in una villetta e stavo molto bene, c’è gente, infatti, che mi chiede “chi te l’ha fatto fare”. Quando sono arrivato in Francia, mi sono sentito in un altro mondo, come perso. Non avevo mai viaggiato da solo e percorrere l’autostrada svizzera in totale solitudine è stato davvero molto brutto. Ricordo che quando ero sulla nave che mi portava via piangevo, perché mentre il traghetto si allontanava, sapevo già, dentro di me, che non sarei più tornato. Volevo tagliare con la mia città e ricominciare, pensavo che il calcio a Palermo fosse ormai finito.
Nonostante conoscessi bene la lingua, inizialmente ho avuto molte difficoltà ad inserirmi, non avevo amici e la mia famiglia era lontana, inoltre in Alsazia c’è molto razzismo. In Francia però ho sempre lavorato, sin dal primo giorno, poi con il passare degli anni mi sono ambientato abbastanza bene».
Quando sei emigrato Internet non c’era; in che modo riuscivi a seguire le vicende del Palermo?
«Durante il mio primo anno a Colmar, il Palermo non c’era più e quindi non avevo nulla da seguire. Poi, dal 1987 da quando ricominciammo dalla C2, ogni domenica me ne andavo con una radio in cima ad una montagna, a circa 850 metri di altezza, per poter captare il segnale delle onde lunghe della Rai e ascoltare i risultati di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Prima parlavano della serie A, della quale non mi importava assolutamente nulla, poi della B e della C1 e, finalmente, davano i risultati della C2. Rimanevo lì fino alle 17,30-18,00 solo per ascoltare il risultato finale del Palermo».
Il 18 settembre del 2004, dopo ben 32 anni, il Palermo giocò contro l’Inter la sua prima trasferta in serie A. Quindicimila i tifosi rosanero presenti a San Siro, ma qualcosa per te e i tuoi amici non andò per il verso giusto. Pino ci racconti cosa accadde quella sera?
«Noi aspettavano un nostro amico, Giacomo da Torino, che perse troppo tempo. Io ripetevo che era meglio andare via da dove ci trovavamo perché poco prima erano scoppiati tafferugli tra i tifosi delle due fazioni e c’era ancora l’odore di lacrimogeni. Gli ultras interisti erano molto agitati e all’improvviso ci ritrovammo circondati. Per difendere un mio amico, al quale volevano rubare uno striscione, mi ritrovai da solo contro una trentina di persone. A quel punto mi sfilai la cintura dei pantaloni e finì a cinghiate. Nonostante gli interisti fossero molto bellicosi, me la cavai piuttosto bene, riuscirono a strapparmi solo la maglietta, perché ero davvero incontenibile».
Quanto è stato importante per te, come emigrante, l’interesse mostrato dai mass-media stranieri nei confronti del Palermo, dopo la promozione in Serie A e dopo la prima storica qualificazione in Europa League? Può considerarsi una forma di riscatto sociale?
«E’ stato molto importante, quando siamo saliti dalla B alla A, qui in Francia Canal Plus ne parlò ampiamente ed io, naturalmente, mi sentivo fiero ed orgoglioso. Ogni domenica, poi, dedicavano grande spazio alla Serie A italiana e raccontavano spesso del Palermo e di come riusciva a portare ogni domenica 30.000 persone allo Stadio».
Tu hai seguito tantissime volte il Palermo durante le sue varie trasferte in giro per l’Europa. Quale ti è rimasta particolarmente nel cuore e perché?
«Ho fatto tutte le trasferte europee e le ho tutte nel cuore, ho fatto migliaia di chilometri per veder giocare il Palermo, sono stato anche a Zurigo per l’amichevole contro il Grasshoppers che terminò 4 a 2 per noi e ricordo molto bene la doppietta di Cavani. Ma la trasferta che mi è rimasta più impressa è quella allo Stadion Gelsenkirchen contro lo Schalke 04, per due motivi: primo perché ho visto uno stadio stracolmo di tifosi e un attaccamento che noi ce lo possiamo sognare, c’erano circa 54.000 persone, poi perché giocavamo un ottavo di finale di Europa League. Anche se noi abbiamo perso 3 a 0 è stata comunque una bellissima esperienza, con un’atmosfera gioiosa e molto festosa insieme ai tedeschi».
La tua vita, la tua famiglia e i tuoi affetti più importanti sono con te a Colmar. Ma c’è qualcosa che ti davvero ti manca e ti mancherà per sempre di Palermo?
«Sono andato via troppo presto da Palermo, ero molto giovane. Mi mancano i miei amici, i miei veri amici, che sono rimasti tutti là. Mondello la conosco come le mie tasche e mi manca davvero tanto!».
C’è un sogno legato alla squadra rosanero che pensi, o che speri, un giorno si possa realizzare?
«Sarebbe scontato dire lo scudetto o vincere una coppa, io dico invece che vorrei una Società che tenesse il Palermo in Serie A per tantissimi anni e sempre fra le prime 10. Mi piacerebbe, poi, vedere più giocatori italiani e più giocatori siciliani indossare la maglia rosanero».
Come vuoi salutare i nostri amici che ti leggeranno e qual è il messaggio che dalla Francia vuoi mandar loro?
«Auguro loro tutto il bene possibile e vorrei dire di non mollare mai, perché chi molla è un debole di natura. Il Palermo si ama nelle vittorie e nelle sconfitte. C’è gente che alla prima occasione non è più tifosa e non va più allo stadio. Invece non si deve mollare mai perché prima o poi la ruota girerà!».