Attraverso il proprio sito ufficiale la Lega Pro pubblica un’intervista a Sandro Tovalieri il quale ha parlato dei playoff di Serie C.
Centoquarantaquattro gol, centoquarantaquattro momenti di gioia sparsi in tutta Italia firmati Sandro Tovalieri: Roma, Pescara, Arezzo, Ancona, Bari, Atalanta, Reggiana, Cagliari, Sampdoria, Perugia e Ternana, le squadre dove è passato a volte poco, a volte restando molto, ma lasciando quasi sempre il segno. Un po’ come il suo soprannome, ‘Cobra’. Più per il piede velenoso o per il veleno rabbioso con cui giocava? Spiega: «Nacque a Bari da alcuni compagni. Perché pizzicavo, segnavo e me ne andavo: come il cobra che punge e se ne va».
«Era ora che arrivasse questa promozione…. Io ho seguito la festa in diretta da Latina domenica sera. E’ stato bello anche poterlo fare con tanti tifosi che con me sono sempre affettuosi. Non sono potuto andare ma ho mandato un messaggio alla società, ho parlato con alcuni giocatori. La cosa più importante, comunque, è che il Bari abbia centrato l’obiettivo che si era prefissato 3 anni fa, anche se non era poi così scontato. Ci sono club che dopo il fallimento hanno bisogno di tempo per ricostruirsi. Ma i dirigenti sono stati bravi ad allestire una squadra sempre competitiva e il pubblico l’ha seguita. Già due anni fa il Bari era arrivato in finale contro la Reggiana ma l’aveva perduta».
Con Bari, Modena e Sudtirol promossi, ora che play off si aspetta? Spettacolari o più tattici, perché influenzati dalla paura?
«Il risultato è talmente importante che condiziona molto. Il campionato è già di per sé molto duro, prevale la fisicità in serie C. Poi ci sono società che magari hanno raggiunto il traguardo dei play off e che lo vedono come un obiettivo insperato, hanno un pubblico tranquillo che non chiede nulla: queste sono le squadre che possono giocare con più scioltezza. E’ naturale che chi è favorito, abbia sempre più pressione addosso. Basta sbagliare una partita e ti ritrovi fuori: alla fine vince una sola e per le altre la delusione è enorme. Un po’ come i calci di rigore: chi ha più fortuna vince».
Lo stress dell’attaccante va alle stelle. Si prova una sorta di angoscia?
«La gente si aspetta i gol dal bomber o dal trequartista, vieni preso per questo. Se non segni in questo tipo di partite, sei per forza nell’occhio del ciclone. Più che di angoscia, parlerei di responsabilità del gol e del momento. C’è anche da considerare che in C ci sono anche calciatori che hanno giocato in A e in B, come Antenucci. E da loro vuoi sempre qualcosa in più».
A proposito di bomber: di quelli che ci sono in Lega Pro, chi è più ‘Cobra’?
«Uno è sicuramente Luca Moro. Mi è dispiaciuto per il Catania e per lui che ha segnato tanto. Ha fatto delle cose straordinarie. E Antenucci in area di rigore è uomo di esperienza e qualità tecnica superiore. Uno come lui, se un difensore fa l’errore, non ti perdona. Si segna molto anche così, sono i gesti che possono fare la differenza».
Le sue favorite dei play off quali sono?
«Quelle arrivate seconde sicuramente hanno un qualcosa in più, se non altro per essersi classificate così a ridosso delle promosse: quindi Padova, Reggiana e Catanzaro, cioè città importanti, stadi caldi, tradizione e tasso tecnico elevato. E’ difficile giocarci contro, anche se poi le partite sono imprevedibili».
Lei ha centrato tre promozioni in serie A con Ancona, Bari e Perugia. Qualche ricordo?
«Sono momenti straordinari sempre, in qualunque club. Vedere la gioia di una città come Ancona, per esempio, che era alla sua prima volta, resta indimenticabile. Ti rendi conto che hai fatto qualcosa di favoloso e tu fai parte di questo sogno. Mi ricordo anche tanti riti scaramantici. Prima di una partita con il Perugia, io e Rapajc avevamo fumato una sigaretta. Segnammo entrambi. Da quel momento era d’obbligo fumare sempre una sigaretta prima della gara: e visto che portava bene, nessuno ci diceva niente».
Nel suo libro ‘Cobra, vita di un centravanti di strada’ (ed. Ultra) scrive: «Mi fossi chiamato Tovalierich avrei militato in squadre più importanti».
«Ho segnato gol a volte bellissimi. Se lo stesso gol lo avesse realizzato uno straniero, i titoli sarebbero stati stratosferici. Non parlo dei campioni, naturalmente, ma di calciatori normali. Quando giocavo io, gli stranieri erano al massimo 3 e i ragazzini avevano più possibilità di emergere. A 20 anni avevo come compagni di squadra Pruzzo e Bruno Conti. Nel 1983 ho vinto un Torneo di Viareggio con la Roma e Liedholm mi portò in panchina nell’anno dello scudetto quando avevo 16 anni. Oggi, a parte i campioni che danno visibilità al campionato, vedo tanti stranieri che non hanno davvero nulla in più di ciò che può dare un italiano. Se per due volte di seguito non andiamo ai Mondiali, una ragione c’è. Bisogna lavorare anche su questo».
E’ un problema sempre attuale. La Lega Pro cerca di proporsi come vetrina e palestra per i giovani. Le seconde squadre per lei sono una possibilità?
«La Juventus 23 dà questa possibilità e io penso che sia una chance in più. Se tutti i club avessero una squadra B, i ragazzi avrebbero più possibilità di mettersi in mostra e magari di essere convocati dalla prima squadra. Oggi si guarda troppo il fisico e meno la bravura: la prima cosa che si chiede è quanto è alto il ragazzino. Come se la tecnica non fosse importante».