Javier Pastore è il protagonista del primo episodio di Torretta Cafè, Talk Show realizzato dal Palermo FC e condotto da Sarah Castellana. L’ex rosanero durante la chiacchierata con la giornalista ha toccato vari argomenti che riguardano il suo passato da calciatore del Palermo.
Ecco un estratto:
«Da bambino non stavo mai fermo, volevo stare sempre in giro con i miei amici per giocare a calcio in ogni momento. Non uscivo di casa se non avevo un pallone nello zaino. A scuola mi portavo un pallone, andavo a calcio e mi portavo un pallone. Uscivo fuori a giocare nel quartiere e mi portavo un pallone. Nella mia vita ho sempre corso dietro a un pallone e mi sono divertito passando del tempo con i miei amici. Oggi ci sono molte più distrazioni, si pensa più alle cose tecnologiche come giocare alla play o al telefono. Ci sono tantissime distrazioni rispetto a prima, il nostro regalo di Natale o di compleanno era un pallone. Non c’erano altre cose. I nostri genitori si potevano permettere quello e quello ci rendeva felici. Oggi i ragazzini giocano a calcio per le due ore in cui frequentano una scuola calcio, durante la giornata non giocano più. Io andavo a scuola alle 9.00, durante la prima ricreazione giocavo 15 minuti con un pallone, durante la seconda ricreazione giocavo altri 15 minuti con un pallone. Dopo la scuola mia mammami portava al campo di allenamento del Talleres e lì mi allenavo altre due ore. Tornavo a casa e uscivo immediatamente fuori nel quartiere a giocare con il pallone fino che mia mamma a ora di cena mi richiamava per andare a mangiare e poi a dormire».
«Tante volte ho detto grazie a mia mamma. Mi emoziona parlare di lei, perché lei è stata sempre con me. È rimasta in sedia a rotelle quando io avevo 4 anni e quattro anni dopo ha cominciato a uscire di casa per portarmi a calcio. Avevo bisogno di qualcuno che mi portava agli allenamenti, lei ha fatto quello sforzo anche se non era in condizione per uscire di casa. Per me si ritagliava quelle ore per portarmi all’allenamento. Questo è stato uno stimolo in più. Sapevo che lei lo faceva solo per me. Lei ha capito che il calcio era la mia vita e ha fatto tantissimi sforzi che un’altra mamma in quel momento non avrebbe potuto fare. Da quando avevo 8 anni fino ai 17 anni sono stato in questa squadra e lei mi portava ogni giorno, seguiva ogni partita anche fuori Buenos Aires. Lei stava con me, era felice quando giocavo a calcio. Era un gioco che a lei piaceva tanto, tutti avevano il piacere di complimentarsi con lei per come giocavo le partite. Ogni volta che ho giocato nel giorno del suo compleanno o per la festa della mamma ho sempre realizzato una maglietta speciale per lei. Da piccolo ho giocato una partita nel giorno del suo compleanno, ho fatto gol e ho potuto omaggiarla con una maglia con dedica per lei. Da grande al Palermo lo stesso, quel giorno lì era la festa della mamma e lei era allo stadio. Questa cosa mi ha sempre caricato un po’. Durante una partita con l’Huracan mi sono avvicinato alla tribuna e le ho dato un bacio visto che non c’era il vetro separatore. A Parigi ho fatto lo stesso dopo un gol».