PALERMO

Torretta Cafè, Pastore: «Il calcio mi ha dato una vita che non avrei mai potuto vivere. Non ho rimpianti»

Javier Pastore è il protagonista del primo episodio di Torretta Cafè, Talk Show realizzato dal Palermo FC e condotto da Sarah Castellana. L’ex rosanero durante la chiacchierata con la giornalista ha toccato vari argomenti che riguardano il suo passato da calciatore del Palermo.

Ecco un estratto:

«Il calcio mi ha dato una vita che senza il calcio non avrei mai potuto vivere. Ho conosciuto culture diverse, ho viaggiato tanto e conosciuto posti. Il calcio mi ha regalato tanta gioia perché alla fine è un lavoro ma è anche uno sport che si fa con passione, con gioia e con divertimento. Mi ha dato tantissime cose, la possibilità di aiutare la mia famiglia e di aiutare tanti amici e tante persone che mi sono state a fianco. Per me i soldi non sono la cosa più importante però alla gente servono per vivere meglio. Il calcio mi ha dato questa possibilità di poter aiutare gli altri, la mia famiglia e di potergli fare conoscere un mondo che senza di me avrebbero potuto conoscerci. Il calcio ti toglie tante cose, ti toglie tanto tempo. Con la mia famiglia argentina e con i miei amici avrò vissuto circa 3-4 mesi in questi 15 anni. Oggi ci penso, quando torno in Argentina vedo amici che hanno tre figli e io non ho vissuto neanche un loro compleanno. Ho cugini che hanno figli e non li conosco ancora. Ti toglie quello, mi ha tolto momenti con mia moglie e momenti importanti dei miei figli. La mia prima figlia Martina è nata un giorno prima di partire in Nazionale, poi per un mese non sarei tornato a casa. Sono cose importanti della vita, quando giochi a calcio è come se tutto è secondario e tutto viene dopo. L’ego di un calciatore ti fa pensare che il resto è meno importante ma non è così anzi è dieci volte più importante un figlio che una partita di calcio. Il mondo ti porta a pensare diversamente, il calcio ti porta a pensare che la partita è tutto. Negli ultimi mesi in cui ho giocato a calcio in Qatar ci allenavamo la sera per il caldo. Ogni mattina portavo Martina a scuola e la riprendevo per poi portarla a fare equitazione. Dopo un paio di settimane mi chiese perché per i primi anni della sua vita non l’avevo accompagnata mai a scuola e perché adesso la volessi bene mentre prima no. Le dissi che quando prima lei entrava a scuola io ero già al campo ad allenarmi. Quando fai questo mestiere hai uno stipendio, devi rispettare l’impegno e per esempio non puoi dire che non vai a una partita perché tua figlia ha la febbre. Quando fai il calciatore hai una responsabilità ed è difficile dire di no. Nell’ultimo periodo sentivo dolore, sentivo che mi sarei potuto infortunare. L’allenatore mi diceva di riposare, io volevo giocare però. Io la partita non me la volevo perdere. La dinamica del calcio ti porta a essere così, però tante volte sarebbe stato meglio gestire alcuni aspetti in maniera differente».

«No, ho giocato a calcio e mi sono divertito. Penso che ho raccolto di più di quello che potevo immaginare da piccolo. Non ho rimpianti perché alla fine ho sempre saputo che la vita del calciatore è corta. Ho sempre saputo che avrei potuto giocare da 10 a 15 anni. Dopo torni a essere una
persona normale. Quando fai il calciatore ti sembra di essere un supereroe indossando una maglia. Io ho vissuto in maniera normale, facendo amicizia con le persone della scuola o quelle del panificio e ancora oggi queste persone sono al mio fianco. Se non fai questo tipo di amicizie mente giochi a calcio quando tu smetti alcuni potrebbero dimenticarsi di te. La vita continua, quelli che stanno al fianco di un calciatore perché è famoso e guadagna quando il calciatore non gioca più cercano altri con cui fare amicizia»

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Redazione Ilovepalermocalcio