TMW, Ghirelli: «Il calcio è a rischio. Chi ha detto che è immortale ed invincibile?»
Francesco Ghirelli, presidente della Lega Pro, è intervenuto ai microfoni di “Tuttomercatoweb” per parlare della difficile situazione che sta vivendo l’Italia in questo momento e, di conseguenza, il calcio. Ecco qui di seguito le sue parole: «Il calcio italiano deve stare attento, deve capire l’umore del Paese, deve capire che tutto questo ridisegnerà la gerarchia dei valori. È per questo che credo che noi possiamo dare tanto, valorizzare ancora di più la Serie C, che è proprio quel tipo di calcio lì: vicino alla gente, nel quale lo stare insieme è la cosa più importante».
Oggi è arrivato il decreto Cura Italia. È soddisfatto degli aiuti messi in cantiere dal governo?
«Nella misura in cui di questi tempi si può parlare di soddisfazione, sì. Non c’è dubbio che il risultato sia positivo: il lavoro del ministro Spadafora è stato estremamente significativo, ha avuto una sensibilità notevole, molto attenta alle nostre istanze. E devo dire che anche noi ci siamo presentati bene, uniti. I risultati sono tanti: le scadenze fiscali portate sino a giugno, la possibilità di rateizzare, la cassa integrazione in deroga. Con un lavoro dell’ultima ora, abbiamo dimostrato quale onere rappresenti per i club l’uso degli stadi e degli impianti sportivi. Questo riconoscimento non era nemmeno facile da ottenere, anche se è un intervento tampone».
C’è ancora tanto da fare?
«Questa è la base da cui partire per capire quali interventi fare in futuro. Io quando parlo di calcio intendo quello che ha ha un risvolto sociale, territoriale. Che al contempo soffre maledettamente e fa bene al Paese. Non bisogna stramare quello che è un elemento del tessuto connettivo dell’Italia. C’è bisogno che non vi sia un prima e un dopo, che non ci si fermi all’emergenza. Dobbiamo lavorare per i progetti che la seguiranno. Per esempio: noi stiamo facendo un lavoro per quantificare a livello scientifico i danni prodotti da questa crisi. Ci stiamo lavorando dall’inizio e nel giro di qualche giorno lo avremo, ora anche il presidente Gravina ci ha chiesto un lavoro in questa direzione».
Domanda brutale: il calcio è a rischio?
«Sì. Ma lo è anzitutto perché è un prodotto obsoleto per le generazioni più giovani. Penso alle modalità e ai tempi di svolgimento, alla poca interattività. I giovani sono lontani dal calcio come lo intendiamo noi, guardano gli highlights. Poi, il problema economico: c’era già, ora rischiamo di trovarci con un calcio sdraiato per terra. Come dicevo prima, il calcio deve capire che nel senso comune, nell’immaginario collettivo, sta mutando un sistema di valori, nel quale si deve rapidamente collocare. Pensi al Colosseo: ha visto andare in scena il più grande spettacolo dell’umanità. È durato 450 anni, adesso ci vanno i turisti. Il calcio ha 120-130 anni: chi l’ha detto che è immortale e invincibile? Ci dobbiamo interrogare su questo, anche perché molto probabilmente i turisti non andranno nei nostri stadi in futuro: che ci andrebbero a fare? Dobbiamo capire quali cambiamenti introdurre».
E come rimanere vicini ai tifosi, alla gente, anche in questo momento difficile.
«Certo. Io penso alle tante iniziative di solidarietà che stanno portando avanti i nostri club: sono bellissime. Da quelle in favore degli ospedali all’idea di giocare un campionato virtuale, in cui si palleggia restando a casa. Il nostro calcio ha un’identità che è fatta di valori, di stare insieme, di darsi la mano quando si è in difficoltà. Ecco, la qualità umana dei calciatori non si può perdere, è un elemento fondamentale. È anche per collocarci in quel sistema di valori, che insistiamo affinché i campionati si concludano regolarmente».
In che senso?
«Vogliamo chiudere i campionati in maniera regolare, con promozioni e retrocessioni. Per due motivi: da un lato non possiamo dargliela vinta a questo maledetto virus. Dall’altro, non possiamo permetterci che il campionato si chiuda nelle aule dei tribunali. Sarebbe un disastro: la gente pensa alle mascherine e ai ventilatori, noi non possiamo pensare di creare un contenzioso di questo tipo. È una cosa che voglio evitare a tutti i costi: lì davvero ci darebbero un calcio nel sedere. E ce lo saremmo meritato. Il calcio viene già visto come supponente. Ora siamo riusciti a far passare il messaggio che sia qualcosa che fa bene al Paese, non possiamo farlo tornare indietro».
Avete in mente una data ultima per la ripresa, in Serie C?
«Noi abbiamo già detto che giocheremmo fino al 29 giugno, proprio perché io vorrei concludere il campionato regolarmente. Ho letto che c’è l’idea di andare anche oltre il 30 giugno, vedremo».
L’AIC ha denunciato nei giorni scorsi il comportamento di alcune società che continuano a convocare i propri giocatori per allenarsi o per controlli medici marginali.
«Io credo che avrebbe fatto meglio a denunciare con più precisione. Dire dove e cosa si stava verificando. Io prendo a esempio le nostre società: la Serie C si è fermata prima di tutti, e le confesso che speravo di sbagliarmi, di esagerare. Le nostre sono state le società che hanno sospeso gli allenamenti prima ancora che il governo decidesse di bloccare il Paese. Non è una cosa bella che anche loro si debbano sentire colpite da questa denuncia dell’AIC. Le nostre società di Lega Pro, ripeto, sono ferme addirittura da prima che il governo adottasse queste restrizioni. Se l’assocalciatori avesse detto in maniera esplicita chi ha violato le norme non avrebbe colpito la sensibilità delle mie 60 società».