Tedino: «Io e il Palermo tra le stelle. Non siamo a caccia di record, ci basta la promozione»

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” ha realizzato una lunga intervista a Bruno Tedino. Il tecnico rosanero ha parlato a 360° del presente, del passato e del futuro. Ecco l’intervista integrale:

“Le sue storie da marciapiede sono semplici elementi di vita. «Si cresce, si lavora, ci si adegua, si riparte», il suo credo. Il resto solo spettacolo. Che a lui non interessa. Bruno Tedino non nasconde di avere ancora… fame: «Vengo dal nulla, il mio concetto di strada è conquistarsi con sudore mete sempre più ambiziose. Palermo è una tappa. Prestigiosa. Fortunato e orgoglioso di trovarmi in una città che odora di serie A. Zamparini con me è stato chiaro: “Ho visto il Pordenone, voglio che il Palermo giochi lo stesso calcio vincente”. Così, ho il dovere di riportare la squadra tra le stelle e sono sicuro che ce la faremo». DEVASTANTE E BARONETTO. Mamma Valentina, carnica; papà Giovanni, originario di Benevento, maresciallo dei carabinieri. «Si conobbero a Grado in vacanza e fu subito amore. Lui mi ha trasmesso senso del dovere e lealtà. Lei aveva il dono di anticipare gli avvenimenti, un pò quello che si chiede all’allenatore. Io sono più rifl essivo ma ho il fuoco dentro. Mamma racconta che ero un piccolo genio perché a 3 anni sapevo le capitali del mondo a memoria e insieme un disastro perché iperattivo; fuori invece un baronetto. Nato in ospedale a Udine, fi no a sette anni ho vissuto a Sacile, la cittadina incantata della mia infanzia. Le giornate passate con la mamma, le passeggiate in bici e i quattro calci nei campetti con papà che con grandi sacrifi ci mi regalò la tv per farmi vedere Rivera e Mazzola. Di papà ero proprio geloso. Una volta, in campagna lo vidi parlare con una signora. Bloccai il lucchetto della bici e gettai la chiave nel ruscello. Tornammo a piedi, otto km, bici in spalla, senza dire una parola. Ero già rompiballe, toccato nel vivo reagivo così. Infatti, all’asilo, le suore non mi vollero. Papà, che ha 84 anni, era tifoso del Grande Torino, tanto che dopo la tragedia di Superga portò il lutto al braccio. Da lui ho ereditato una simpatia per il Toro ma resto il bambino tifoso della Sacilese».
IL PROVINO. «Mai pensato di entrare nell’Arma, anzi ho interrotto una tradizione: bisnonno, nonno, papà e zio. Ho studiato ragioneria, poi l’università, economia aziendale. Bravo in matematica, pensavano che diventassi scienziato. Avevo dell’altro in testa. A 8 anni, andai ad allenarmi con quelli più grandi a Treviso, dove ci eravamo trasferiti. Il classico provino. Mi presentai in maglia granata e calzoncini bianchi. L’allenatore tentava di spiegarmi che ero troppo piccolo nello stesso momento in cui partì dalla difesa una parabola lunghissima: stoppai col petto e adagiai il pallone a terra. Mi presero. Di quel momento conservo la maglia fatiscente del Torino con stampato l’alone dei pentagoni neri del pallone sporco. Nascevo centrocampista offensivo, Rivera il mio idolo. Quattro anni fa lo incontrai a Coverciano e glielo dissi».
HOBBY E FAMIGLIA. Sposato con Sabrina, due fi gli, Bruno ama musica (in auto canticchia perfi no “Follow you, follow me” dei Genesis), cinema (“C’era una volta in America”, il preferito) e basket («Benetton Treviso, ovviamente»). L’incontro con la moglie, più che romantico, singolare: «Gestiva un locale dove andavo a pranzare, un giorno a casa mi aff accio e la vedo nel balcone di sotto. Che ci fai? Nessuno se n’era accorto, abitavamo nello stesso palazzo!». ZAMPARINI. «Il primo impatto con Zamparini fu tra il ’95 e il ’97 nelle giovanile del Venezia. Non penso di avergli parlato. Dopo vent’anni, squilla il telefono. E’ lui e mi off re di guidare il Palermo. Non ho dubbi sulla risposta ma debbo prima vedere Lovisa, presidente del Pordenone, al quale porterò riconoscenza eterna. Sarebbe stato un tradimento ignorarlo. Mi rispose che non poteva trattenermi. Grazie presidente! Così mi ritrovo ad Aiello del Friuli da Zamparini. Lui travolgente e sicuro, io in punta di piedi. Anche a Palermo bisognava ricreare ambiente e gruppo. Solo così si può essere vincenti. Se si abbassa la guardia succede come a Pescara. Il mio rapporto con Zamparini è professionale e garbato. Non mi ha mai detto chi mandare in campo, chi è meglio o peggio. Però è la proprietà e non deve sapere le cose dal buco della serratura. Va informato su ciò che si fa e su cosa succede, deve conoscere chi sta male e perché non gioca, scelte e motivazioni. Altrimenti cosa spingerebbe un imprenditore a comprare una società se poi non può metterci bocca? Quando il patron lo trova opportuno mi suggerisce qualche idea. Lo ascolto. Un personaggio con tanta esperienza, passione e competenza deve poter dire certe cose. Se qualcuno ha giocato male, ed è vero, non posso arrampicarmi sugli specchi per sostenere il contrario. Persa l’imbattibilità col Novara, paradossalmente non si è incavolato: “Una lezione salutare per capire com’è la B”. Un sospiro di sollievo per entrambi, aggiungo. Non siamo a caccia di record. Ci basta la promozione».”