Soltanto 15 giorni fa era stato eletto in quota atleti nel Consiglio Nazionale del Coni: con 54 voti, il canottiere lariano Filippo Mondelli – ad appena 26 anni – era risultato il più votato tra tutti i candidati. Alle elezioni, purtroppo, Pippo non aveva potuto partecipare per gravi motivi di salute. Campione europeo e del mondo nel quattro di coppia nel 2018 (con Luca Rambaldi, Andrea Panizza e Giacomo Gentili) e bronzo nel doppio nel 2017, Filippo Mondelli è morto giovedì a Como dopo aver lottato per 15 mesi contro un tumore, scoperto nel gennaio del 2020 quando l’allora 24enne portacolori delle Fiamme Gialle (che aveva vinto numerosi titoli iridati ed europei anche a livello giovanile) si stava allenando per i Giochi di Tokyo. Un dolore lancinante al ginocchio sinistro che, dopo pochi e rapidi esami, si scoprì purtroppo essere stato provocato da un osteosarcoma maligno.
La malattia
«Il primo pensiero dopo la diagnosi è stato alle Olimpiadi — raccontò Mondelli alla giornalista Erika Antonelli — il sogno di ogni atleta e al fatto che non avrei potuto più partecipare. Con la malattia ho scoperto che la mia forza è un’altra ed è dentro di me. Sono diverso ora, la malattia ti cambia dentro e fuori. Ti cambia la vita e nel rapporto con gli altri, ti fa essere più pacato e tranquillo, dare importanza a molte cose che prima non guardavi. La vita è un filo a cui siamo legati».
Gruppo olimpico
Per un anno Filippo ha fatto la spola tra la sua Como (storica famiglia di rematori, il nonno era presidente della Canottieri Cernobbio) e il Rizzoli di Bologna, sottoponendosi a 14 cicli di chemioterapia. Poi l’operazione, con l’inserimento di una protesi in titanio di 24 centimetri al posto del femore distrutto dalla malattia, con la speranza di poter tornare a camminare prima e a remare poi. Ricoverato a lungo durante la prima epidemia di Covid, aveva scritto su Facebook: «A differenza del tumore, dove oltre che confidare nella volontà del Signore, nella medicina e nella mia forza, ora quello che più che mi spaventa invece è che per sopravvivere devo confidare in milioni di persone che capiscano di non essere egoiste e superficiali. È una paura diversa perché qui non posso lottare solo, ma lo dobbiamo farlo tutti insieme e uniti. Per noi pazienti oncologici ora è ancora più difficile, non abbiamo solo un bastardo che ci spaventa ma bensì due».