Tony Sperandeo s’è aiutato da solo. Il Palermo non può. Ha bisogno di sostegno. «Del sostegno dei tifosi. Vedo che è andata perduta la passione. Bisogna andare allo stadio. Perché se il Palermo non sale in Serie A è finito. Fallisce». Sembra la minaccia dell’uomo nero nell’armadio che si fa ai bambini, così non dormono definitivamente. Invece è la previsione dura e precisa di uno che ha vissuto da appassionato il fallimento del 1986, l’altalena tra Serie A e Serie C1, gli anni dell’irresistibile ascesa e quelli della sfrenata decadenza. «Io la vedo questa disaffezione dei tifosi nei confronti del Palermo. Nonostante il secondo posto. Con la promozione che sta lì, a una decina di partite. Bisogna sforzarsi, contribuire con la presenza. Il mio è un appello. I tifosi mi conoscono. Sono uno di loro». Ha anche scritto e cantato uno degli inni della squadra. «“Ghiaccioli all’arancio”. Il sapore del gol. Il primo tentativo negli anni Settanta, poi la rifeci con Giovanni Alamia. Tifavo per l’Inter, all’inizio. Quando ho cominciato a capire di calcio sono diventato del Palermo. Mio padre faceva il carrozziere, andava allo stadio e non mi portava mai. A 11 anni sono scappato per vedere la partita. Tornato a casa ho recitato la cronaca a mio padre. Presi uno scapaccione. Ma cominciammo ad andare insieme. Il Palermo è la mia famiglia, il mio giocattolo». Questo quanto dichiarato dall’attore palermitano Tony Sperandeo ai microfoni de “Il Corriere dello Sport”.