L’edizione odierna de “La Repubblica” ha riportato una lunga intervista a Salvatore Sirigu, l’attuale portiere del Genoa si è espresso su tantissimi temi di attualità ma non solo
Ecco qualche estratto delle parole dell’ex rosanero:
«Io motivatore all’Europeo? Dopo tante competizioni in azzurro, avevo chiara l’importanza di un gruppo unito e motivato. Ma non sarebbe bastato, senza l’umiltà unica dei miei compagni. 4° posto Ranking Fifa? Piacevole conseguenza dei risultati. E conta per le teste di serie al Mondiale da conquistare. La Nations conferma la crescita: la Spagna è la peggiore da affrontare in 10, eppure dallo 0-2 abbiamo sfiorato un pari miracoloso».
«Italia-Szivvera? Col Mondiale a un passo, il messaggio di Mancini è chiaro: okay, ci rivediamo a novembre, ma quella partita è la più decisiva di tutte, anche se poi c’è pure l’Irlanda del Nord. Io 11 anni in azzurro? Solo con Ventura non c’ero: non giudico, anche se il risultato è stato pessimo. Con Lippi ero un ragazzo pieno di entusiasmo. Con Prandelli bellissimo Europeo, mancò la riconferma brasiliana. Conte, lavoratore maniacale, è stato la scintilla, riformattando l’ambiente come un club: sudore ed entusiasmo. Mancini è sorprendente per cambio di rotta nel gioco, determinazione, crescita esponenziale. Mai vista una Nazionale così spettacolare. Con la Repubblica Ceca eravamo già prontissimi: di solito l’ultima amichevole è di rodaggio, stavolta ce la siamo goduta. Gli stereotipi stranieri sono solo mezze verità. Agli amici dicevo: non siamo difensivisti, difendiamo meglio di voi per attaccare bene. Ora gli spagnoli, amanti del bel calcio, ci guardano con occhi diversi. Non so se sia rivoluzione, ma abbiamo una generazione adatta al possesso palla e squadre che lo praticano. Non bisogna copiare, ma sapere imparare. Solo poche squadre possono giocare come la Nazionale. Piuttosto, il cambio di mentalità discende dalle regole. Già quella sul retropassaggio aveva cambiato il ruolo del portiere, obbligandolo a giocare coi piedi. Ora il difensore può toccare subito palla accanto al portiere, così si velocizza l’azione, si può uscire dalla pressione, c’è campo davanti».
«Io predecessore di Donnarumma al Psg? E di Buffon: gli ultimi tre portieri dell’Italia sono passati dal Psg. Fin dal primo anno qatariota si capiva che il club sarebbe arrivato lontano, anche se magari non fino a Neymar-Messi-Mbappé. No-social? Sì, non ne sento l’esigenza. Non sono contro, se ponderati, ma nello spogliatoio sento cose che non capisco: me le devo fare spiegare e a volte sono sciocchezze clamorose. La vita è ben altro. I social sono un accessorio. Se ci vivi dentro, quando te ne accorgi non sai gestire il mondo vero».
«No-vax nel calcio? Io rispetto ogni opinione, ma ho in mente la risposta di mio padre, che ha avuto il Covid e crede nella scienza, quando gli hanno chiesto se non avesse paura del vaccino: “Posso mai dire, con tutti i medicinali presi nella mia vita, che il vaccino può farmi male?”. Io ho avuto il Covid ad aprile, qualche lineetta di febbre, ma appena ho potuto mi sono vaccinato. Un anno fa avevo perso un cugino di mia madre e il padre del mio migliore amico: se n’è andato in dieci giorni, prima stava bene. Chi ha perso un proprio caro, senza nemmeno poterlo salutare, avrebbe dato un braccio per il vaccino».
«Razzismo? È un atto di coraggio denunciare i razzisti nel proprio stadio: altrove girano la testa. Senza enfatizzare deve diventare normale punire chi ha sbagliato. L’hanno fatto a Firenze e a Torino, è l’inizio della strada giusta. Genoa e Torino? Due maglie storiche, sono fatto così. Quando smetterò, potrò dire di avere giocato in squadre di grande tradizione, che rimangono nella memoria della gente».
Fierezza sarda, come Riva figlio adottivo e Zola: memorabili lei e Barella a Wembley con i Quattro Mori. «È stato un anno pazzesco: l’oro di Patta e Tortu nella staffetta alle Olimpiadi, l’Europeo di Orro nel volley femminile, ora Bartolini al Mondiale di ginnastica. Io mi emoziono per una bandiera o un adesivo dietro alle macchine. La sardità mi dà forza, è una qualità in più».
Il Mondiale biennale? «Troppi impegni: quando metterebbero l’Europeo? E poi di un Mondiale è bella anche l’attesa».
Per l’Italia è di quasi 8 anni: la preoccupa il prato dell’Olimpico?
«La questione non è banale, con tante partite e il rugby 6 giorni prima della Svizzera. Un campo veloce, dove non devi pensare al rimbalzo del pallone, ti fa guadagnare un tocco in meno: per i nostri meccanismi è essenziale, altrimenti è tutto più macchinoso».
La squadra è in parte quella ferita nel 2017 dalla Svezia.
«Da casa mi sentivo vicinissimo ai compagni. All’Europeo quella tragedia sportiva è tornata come monito e come tale è meglio mantenerla, finché non battiamo la Svizzera. Poi speriamo di cancellarla del tutto».