Silvio ha un Angelo. La Montagna, il nuovo inizio: «Mia moglie mi ha dato la sua vita»
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta una lunga intervista a Silvio Baldini nel quale racconta la sua vita.
Lui lo chiama “il mio nuovo inizio”. Come tutti i pazzi naif, Silvio si lascia martellare il cuore da passioni primordiali. Sanguina a tempo pieno. Baldini è nudo anche quando si veste per la montagna. Soprattutto, quando si veste per la montagna. Tutto lo confessa. Il corpo inquieto, gli occhi forastici ma capaci di lacrime e dolcezze inaudite. Gli improvvisi silenzi. «Ho un bisogno disperato di emozioni. A un certo punto della mia vita volevo tornare a sognare…».
Il suo furibondo cranio non la smette di agitarsi, di mescolare tutto ma, alla fine, la sintesi fredda e lucida è sempre la stessa: testimoniare se stesso, la sua carne viva in un mondo sempre più fasullo che confonde i battiti del polso con quelli del Rolex. Lo incontro la prima volta tre anni fa. Un sequestro di persona più che un incontro. «Sei venuto qui per raccontarmi? Vuoi conoscermi davvero, capire dove nasce la mia ispirazione? Devi venire sulla montagna con me».
Ci carica sul suo pick up, me e Lele Adani, e si va su a picco, quasi a mille metri, tra boschi di castagni e di abeti, dirupi e strapiombi, sentieri di roccia, che nemmeno i muli. E quando penso, spaventato: qui il folle si deve fermare per forza, oltre non può andare, lui va. Si chiama Monte Pasquilio. Ci venivano a piedi Ungaretti e Montale a cercare silenzio e ispirazione. «Qua ci vengo all’alba con i cani. Non si può cacciare, ma a me non me frega niente di sparare. I cani hanno le emozioni e io le ascolto. Non ho bisogno di altro, di nessuno… Lo vedi quel vecchio lassù, solo soletto? Di sicuro stava parlando con la morte e noi lo abbiamo infastidito. Sai qual è il mio vero rammarico? Mia moglie Paola. Mi ha dato la sua vita. Come hai fatto a innamorarti di uno come me che ogni tanto sparisce, le chiedo. “Mi sono innamorata dei tuoi difetti”, mi fa lei. Questo è un peso troppo grande per me…» , ci disse portandoci alla fontana dove suo padre Valentino e i cavatori di marmo mettevano la testa sotto l’acqua gelida per smaltire le sbornie. “Vengo qui da solo…Di notte, è ancora più bello». Si commuove facile Silvio, anima lirica e barbarica. Un cuore enorme in petto e un punteruolo acuminato in tasca. «Lo porto sempre con me per eventuali cattivi incontri…». Che la vita, nel delicato e feroce mondo di Silvio, è la stessa di quando era bambino, una foresta di emozioni forti, di fate e di lupi. Foresta era anche il nome del suo calciatore prediletto alla Carrarese. Quello che sarebbe andato alla guerra per lui.
IL CALCIO IN CULO. L’immagine che lo consegna per sempre al catalogo dei fuori di testa. Parma-Catania del 2007. Molla in mondovisione un calcio in culo al collega Di Carlo ( «aveva offeso con parole e gesti sprezzanti…»). Silvio Baldini è raccontato dai giornali radical chic come qualcosa tra un irascibile villano e un disturbato mentale. «Non si era mai vista una cosa simile, neppure nei campetti del terzo mondo…». Nell’atto di stendere il loro edificante lenzuolino le belle animucce non si preoccupano di esagerare. Ancora più riprovevole, il villanzone, «perché allena la squadra di una città, il Catania, dove hanno da poco ammazzato un poliziotto allo stadio…».
Tante cose di Silvio Baldini non si erano e non si saranno mai viste prima e dopo, incluso il fatto che andrà ad allenare gratis per quasi tre anni in serie C. Quando, per gli stessi scolaretti dell’eticamente corretto il mascalzone diventa un eroe. Quel calcio in culo, in realtà, lo ha dato a se stesso. Un calcio di non ritorno. Definitivo, o quasi. Il suo Catania andava a gonfie vele, conquista una semifinale di coppa Italia, l’unica della sua storia, ma Silvio ha il destino segnato. Agli occhi del mondo, ma soprattutto ai suoi. Quella pedata è un sintomo, racconta un malessere. Che arriva da lontano.