L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta una lunga intervista a Silvio Baldini nel quale racconta la sua vita.
Non lo riconosco lì per lì, fuori dalla stazione di Massa in un mezzogiorno molto più che fuoco. Nel deserto, vedo una macchia rossa, corpulenta. Potrebbe essere un bounty killer. Riconosco appena gli occhi forastici sotto una testa strana, uno scalpo innaturale con una tintura troppo compatta per essere vera. Devo averlo vista sulla testa di Cipollino Boldi in qualche suo film. Lo abbraccio, con il timore d’abbracciare la persona sbagliata. Accenno a un treno faticoso, il ritardo…. Lui m’interrompe spiccio. «Il disagio è una bella cosa, aiuta… Viaggio triboloso, viaggio godurioso dicono dalle mie parti» . Ora lo riconosco. Silvio Baldini, è lui. La testa è diversa fuori, ma uguale dentro. « I l mio amico barbiere mi ha fatto il cachet dopo la promozione in B. Mi voleva fare le meches bionde, ma mi sono rifiutato» . Questa volta è l’osteria. Da Giuston e Puppinora, la sua osteria dalle parti di Massa. Non è un’osteria, ma l’estensione della sua anima. La montagna non bastava.
«Non puoi sapere chi è davvero Silvio Baldini se non passi due ore con me dalla Puppinora» . Vino dei loro vigneti, un bianco Candia de i Colli Apuani, ravioli da sballo, baccalà marinato, due acciughine fritte con pomodoro e cipolla. Al nostro tavolo, Mauro, suo fido scudiero da sei anni («ho lavorato con Lippi, Mazzone, Ranieri, Giacomini. Ventura, Maifredi, GB Fabbri, ma quello che mi ha insegnato Silvio non me l’ha insegnato nessuno » ) e l’amico Nicolo Colonnata, maestro di arti marziali e collaboratore. “Mental coach” dei giocatori si definisce, di fatto ne sparecchia e apparecchia le menti per accogliere senza troppi danni gli eclatanti show del guru. Questa storia della follia di Baldini. Rischia di diventare un cliché mondano di giornali pigri. «Follia? Mi accorgo quando le persone mi vogliono palleggiare. Tu non sei venuto qui per palleggiarmi. Tu sei qui per raccontarmi. E non m’importa come mi racconti, m’importa che sei qui per questo. Mi accorgo quando vogliono mettere in gioco questa follia per togliermi tutti i meriti di allenatore. E allora faccio il volgare, parlo male, dico parolacce. Così, lo so, faccio soffrire mia moglie, la mia famiglia, ma non ci posso fare nulla. Ci sono delle persone che mi stanno sui coglioni e vengono anche in questa osteria. Se so che ci sono, io non vengo. Invidiosi, meschini. Sono conigli. Non ti dicono niente davanti. Se potessero, mi farebbero del male. Nel calcio è così, ti fanno passare per folle, non scrivono che da gennaio il Palermo ha fatto più gol di tutti, tra serie A, B e C, che ha segnato 24 volte su 25. Sono in malafede o incompetenti. Non scrivono che delle ultime 12 partite ne abbiamo vinte 10 e pareggiate 2. Che ne abbiamo vinte 7 fuori casa di seguito. Io ero sicuro già prima dei playoff che saremmo saliti. Qualcosa era esploso nella mente dei miei. Insieme alla condizione fisica straordinaria. A un certo punto ci hanno messo la fede. Penso a uno come Luperini. Doveva andar via da Palermo. Uno che muore ma non si ferma. Insieme a Kanté è stato il giocatore che ha recuperato più palloni nel calcio professionistico…».
La sua vanità confessa? I barboncini da salotto televisivo che se lo mettono come distintivo nell’asola del gilet hanno grotteschi soprassalti quando il barbaro, lo stesso che aveva preso a calci in culo un collega, se ne esce con lo scellerato esempio: «.. . Qua a Palermo non è come a Milano, se hai moglie e figli e vuoi scoparti una ragazzina fanno bene a tagliarti i coglioni…». Lo dice davvero. Giuro. Ci sono le prove. Ma si può? Lui può. Enorme? Sì. Riprovevole? Di più. Ovvio. Ma Silvio Baldini è sempre lui, inutile girarci intorno, sempre lì a dichiararsi con brutale e leale onestà. Io sono questo, tu chi sei? È lo stesso che come immagine di whatsapp alterna un coltello alla scritta “La famiglia è sacra”. « L ’arma? Il coltello siciliano con cui scuoiamo i cinghiali » . Barbaro, atavico, crudele? Tutto questo. Ma è uno che non si nasconde. Mai. E ha pagato per questo. E pagherà. N o n è mai facile stargli dietro. La sua urgenza di verità. Quando ti racconta della figlia Valentina, disabile totale, o del padre Valentino che ha lavorato una vita nelle cave di marmo («Era anche il mio destino » ) e da bambino accompagnava un cieco nei boschi durante la guerra e il cieco lo portava nei laghi gelati per sfuggire ai tedeschi , «… e il mio babbo si addormentava con i piedi ghiacciati p ensando alla mamma che non aveva più» . O quando sfonda uno spogliatoio alla lettera per un pareggio che puzza di sconfitta (una trasferta del Palermo a Potenza).
LA VALENTINA. Sua figlia. «Il mio angelo… io se penso a Valentina non posso mai perdere. Come faccio a perdere? Sono imbattibile. Gli mangio il cuore al nemico. Più il mondo che ha intorno è vacuo più lui testimonia la sua identità estrema. Ha portato le foto di Valentina ai giocatori quando erano in difficoltà. A Carrara l’aveva portata di persona. «Doveva campare 6 mesi Valentina, oggi ha 35 anni. Disabile al cento per cento. Non parla. Non può stare in piedi. E sai una cosa? Io l’ho sentito che sarebbe nata così. Ho sempre saputo cos’è il male…».
Racconta la storia di Rosy, la sua fidanzata brasiliana di quarant’anni prima. «L’avevo conosciuta in un night. Rimane incinta. Dovevo sposarla. Tutto già combinato. Tre giorni prima sento una voce dentro che mi dice: non farlo. Stavo in bisca. Alle tre di notte arriva un amico con mia mamma: la Rosy è all’ospedale s’è tagliata le vene. Rosy abortisce a Napoli e torna in Brasile. Sparisce. Conosco Paola, dieci mesi dopo decido di sposarla. Alla vigilia del matrimonio, mi chiama Rosy. «Spero che tu possa soffrire quello che ho sofferto io», mi maledice. Mia moglie rimane incinta. Le ecografie sono tutte regolari, ma io le dico. «C’è qualcosa che non va per il verso giusto… me lo sento». Nel mondo di Silvio Baldini se c’è la colpa ci sarà anche il castigo. Non si scappa. «È la legge del contrappasso, me lo diceva sempre mia nonna» . Nel bene e nel male. La storia del Palermo conferma. «Io so che la mia coscienza deve sempre rendere conto degli atti che compio».