L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma su Ranocchia ad un passo dall’addio al calcio.
La grandezza dell’uomo hanno imparato a conoscerla negli anni i tifosi interisti – pure quelli che per un periodo ne hanno fatto il Signor Malaussene di Pennac, capro espiatorio di ogni guaio nerazzurro -, ma anche i giocatori. Perché se a Inzaghi mancano tanto le fiammate sulla sinistra di Perisic, il vuoto lasciato da Andrea Ranocchia, leader silenzioso dello spogliatoio, per certi versi pesa anche di più. Liberato dall’Inter, con conseguente delusione, Ranocchia a giugno è stato il primo acquisto del Monza targato Berlusconi-Galliani ma ieri ha deciso di fare un passo indietro, rinunciando ai 2 milioni netti (poco meno di 4 lordi per il club) che gli garantiva il contratto biennale sottoscritto a giugno. Un gigante, ben oltre i suoi 195 centimetri.
Infortunio e vuoto Ranocchia era ai box dal 21 agosto, quando contro il Napoli il suo piedone destro numero 52 è rimasto bloccato in una zolla del «Maradona»: frattura composta del perone e distorsione della caviglia. Brutta botta, gesso, immancabile post che ora suona beffardo («Grazie a tutti, posso solo dirvi che tornerò presto») e prognosi di tre mesi. Nel mezzo però c’è il Mondiale, quindi Andrea avrebbe saltato meno di metà stagione. Peccato che il problema sia nell’anima e che già tormentasse il difensore nei primi mesi in biancorosso, ancor prima del crack che poi ha accelerato la decisione. Se la professionalità era rimasta la stessa anche in Brianza, a venire meno è stato il sacro fuoco. Quello che negli anni l’ha sempre spinto a tirare il gruppo pur giocando poco, ad anteporre – non solo a parole – l’interesse di squadra al proprio. Quel fuoco che lo ha spinto a dare tutto in allenamento anche per costringere i compagni a fare lo stesso, pur sapendo che la domenica avrebbero giocato gli altri. Quel fuoco che, trasmesso a chi gli sta intorno, probabilmente avrebbe impedito le recenti partite (o spezzoni) senza sangue agli occhi dei nerazzurri.