Serie A, l’infettivologo Bassetti: «Ridurre gli spettatori un errore pericoloso, gli stadi sono sicuri. Che messaggio si dà ai tifosi vaccinati?»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha riportato un’intervista all’ormai noto infettivologo Matteo Bassetti primario di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova e grande appassionato di calcio, il quale ha parlato della decisione di limitare le presenze allo stadio a 5mila tifosi.
Il suo Genoa lo fa infuriare, ma non quanto l’ultima decisione di ridurre la capienza degli stadi a 5mila spettatori appena: «È un’assurdità controproducente», tuona al telefono. Prof. Bassetti, in che senso?
«Assistiamo a un continuo crescere e decrescere, quando andrebbe sempre mantenuta una percentuale in relazione allo stadio: aprire per 5mila a San Siro è una presa in giro. Stiamo tornando tutti indietro, a quei mesi in cui entravano in mille e poi li trovavi tutti nella stessa zona, ammassati nella tribuna centrale senza alcun distanziamento».
E questa misura perché è anche controproducente?
«È un errore grave nei confronti della campagna vaccinale. Hai portato dei tifosi a vaccinarsi facendo capire loro che così si sarebbero protetti e avrebbero avuto pure il diritto di andare allo stadio, un posto sacro per loro. Adesso che togli loro questa possibilità, rischi di instillare in qualcuno il dubbio che non sia servito a nulla vaccinarsi».
Ma negli stadi non c’è comunque un rischio da evitare in questo momento delicato?
«Mettere dentro il 50% delle persone, tutte vaccinate con doppia e tripla dose, non è minimamente un rischio. Bisognava chiudere gli impianti ai non vaccinati, e su questo siamo tutti d’accordo, ma non smettiamo di guardare anche a cosa succede negli altri Paesi: la Premier continua ad avere la capienza al 100%…».
Lo stadio in quanto tale è un vettore del virus?
«L’ambiente all’aperto di uno stadio è uno dei luoghi più sicuri. Anziché ridurre la capienza, andava lanciato un altro messaggio. Serviva alzare il controllo sulle mascherine FFP2, pena delle multe vere. Serviva controllo sul distanziamento e sui green pass per evitare che qualche furbo entrasse con il certificato di un altro. Purtroppo, lo stadio è un luogo paradigmatico per i nostri amministratori sin da Atalanta-Valencia 2020, come se fosse il moltiplicatore del contagio. Cosa che non è vera, nonostante non si sia mai immuni da rischi».
Quindi per lei c’è un pregiudizio nei confronti del calcio?
«Certo, c’è nei confronti del calcio, delle discoteche, del divertimento. Ed è un errore. Appena è ripartita la curva dei contagi, si sono colpiti questi settori. Il calcio, invece, è parte fondamentale del nostro sistema produttivo, tocca decine di migliaia di persone. Ma in generale dobbiamo cambiare la prospettiva sul virus».
In che modo?
«Bisogna uscire dalla logica del Covid come malattia terrificante perché siamo ormai in una fase endemica in cui i vaccinati possono reggere l’urto. Se ora, dopo tre dosi, affrontiamo il Covid con le chiusure, anche degli stadi, ci facciamo del male. E finiremo per avere un Paese più complicato».
È favorevole all’obbligo vaccinale per i giocatori di A?
«Lo dissi già nel gennaio 2021, l’obbligo per loro era strategico. Un po’ per l’esempio che avrebbero dato, un po’ perché nel calcio le distanze non esistono. Anche se è tardi, è un messaggio forte che si può ancora dare».
Visti gli ultimi giorni confusi, è preoccupato per la tenuta del sistema calcio?
«Si rischia la tenuta perché ci sono protocolli vecchi, che fotografano la realtà del 2020 in cui non c’erano i vaccini e non si poteva tracciare l’infezione come adesso. Basta con la logica persecutoria del tamponi: come per i cittadini, anche per i giocatori non servono tutti questi test agli asintomatici con tre dosi» .