L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sui debiti del club di serie A.
Senza Mondiali, senza soldi, senza idee per rinnovarsi. La crisi del calcio italiano non è soltanto tecnica, come abbiamo ricordato ammirando i successi di Messi in Qatar dal divano. È una crisi di sistema, che da mesi si materializza in una sorta di questua per rateizzare pagamenti accumulati nell’ultimo anno. Scade domani il termine per onorare i 500 milioni di versamenti sospesi, fiscali e contributivi. Per fare degli esempi: l’Inter deve 50 milioni circa, la Lazio 40, la Roma 38, la Juventus 35, il Torino 27. Ma tantissime società di Serie A sono pronte a ricorrere alla generosa mano tesa dal governo per tentare di evitare l’implosione del movimento sportivo più ricco — almeno in termini di fatturato — del nostro Paese. Un movimento che non sa salvarsi da solo: da anni si parla della necessità di una riforma dei campionati.
Ma ridurre il numero delle squadre per rendere più sostenibile il sistema sembra impossibile: la Federcalcio anziché farlo d’imperio ha affidato il compito di studiare un percorso di cambiamento alle società. Ma da ottobre a oggi, la Serie A, la B e la C non sono state capaci di produrre lo straccio di una riforma condivisa: solo programmi unilaterali, nulla che riformi il sistema. Alla fine la Serie A ha gioito per aver ottenuto che a bordo campo, durante le partite, possano riscaldarsi cinque giocatori e non più soltanto tre: sembra quasi uno scherzo, per un sistema che ha superato i 5 miliardi di indebitamento e che nel 2021 ha toccato 1,3 miliardi di perdite. Senza avere idea di come uscire da questa spirale.