Serie A, Borriello: «Mi chiamano playboy, ma vengo da Gomorra». I segreti del bomber: «Mio padre ucciso dai boss quando avevo 11 anni. Non solo tatuaggi, ho anche una cicatrice da 35 punti»
“«Ti mostro una cosa. Non l’ha mai vista nessuno». Badesi, l’angolo di uno splendido resort. Marco Borriello sta per giocare una amichevole a Castelsardo. Nel clima quasi caraibico de «le Dune», Marco fa vedere a me e a Paolo Vallone (addetto stampa del Cagliari) una lunga cicatrice, quasi nascosta dietro la coscia destra.Non uno dei tanti tatuaggi che colorano il suo corpo: il punto di svolta della sua vita, della sua carriera: 35 punti di sutura che cuciono una biografia, le due anime di un grande campione, la storia con Belèn che ha fatto impazzire gli italiani, il vecchio e il nuovo Borriello. Il personaggio da copertina (che non esiste più) e il professionista maturo di oggi. Guardo Borriello e non vedo più l’idolo delle teenager. Sembra lo scultoreo Dennis Quaid di Ogni maledetta domenica, uno dei più bei personaggi in uno dei più bei film sullo sport. Il campione indistruttibile. Cominciamo dalla nascita? «Inizio a toccare palla a tre anni: passione innata». Cosa ricordi di quel tempo? «Non mi separavo mai dal pallone (ride, ndr). Mia madre racconta che ci dormivo anche nel letto». Addirittura. «Ero piccolo, incosciente, felice. Vivevo per tirar calci». La Napoli più popolare. «Cresco a San Giovanni a Teduccio, finché non accade la tragedia». Il lutto che ti segna la vita. «Mio padre viene ucciso dalla camorra, avevo 11 anni. Vengo su coi miei due fratelli. E mia madre che faceva tutto, anche da papà». Cosa ti resta di lui? «Per me c’era ogni volta. Ho questa immagine di lui: riusciva a mettere le cose a posto. Sempre». Il calcio ti porta via da Napoli, a 14 anni. «Mia madre credeva che nel mio quartiere non potessi essere tranquillo». Dove vai? «In un posto da romanzo,che oggi non esiste più: una cantèra. Un collegio di giovani calciatori, tutti napoletani, in Emilia Romagna. A Lugo. L’animava Foschini, un personaggio incredibile». Come funzionava? «Uno di noi aveva la responsabilità: assegnava i servizi, a turno ti toccava rifare i letti o lavare i piatti». Dura? «No. Il ricordo di quella comunità è stupendo per me». Come giocavi? «Esterno sinistro. La mia fisicità è venuta fuori a 18 anni: prima ero un ragazzetto senza barba né peli. Sveglia presto la mattina, e io condivo l’insalata. Poi mi vede Baresi e mi porta tra gli allievi nazionali del Milan a Lambrate, al Sacro Cuore». E tua madre? «Il primo anno soffrivo senza lei. Ma era quello che avevo sempre voluto. Saliva a trovarmi ogni due mesi, con la pastiera appena fatta: e mi veniva da piangere per la gioia». Cosa ti accade in questi anni? «Vivo solo. Imparo a conoscere i miei mezzi. Divento sicuro di me». Sei già professionista e inizi a girare l’Italia. «Parto da Treviso. Poi Carlo Osellame -il mio primo grande allenatore – mi trasforma in centravanti». Poi in C2 alla Triestina. «Di nuovo Treviso. E poi Milan, a 20 anni. Nella grande squadra dei record sono una delle cinque punte. Esordisco in A e in Champions». Pare un sogno. «Lo era». Poi di nuovo in giro, a fare esperienza. «Reggina,Sampdoria,ancora Treviso: conosco tutta l’Italia, una cosa per cui amo il calcio». Al Genoa di Preziosi esplodi. «Arrivo a 19 gol ad aprile.Perdo la classifica cannonieri con Trezeguet e Del Piero, perché per sette giornate resto a secco». Non ami che ti chiedano di Belèn: ma ti metti con lei in quel periodo. «L’avevo conosciuta in Sardegna. Ancora non parlava italiano. Era un sogno». È diventata famosa perché era la tua ragazza. «No. È diventata famosa per il suo carisma, la sua bellezza, la sua incontenibile simpatia. Eravamo la coppia perfetta». Torni al Milan, sei al top come professionista, un personaggio di successo. «Ma è un anno di difficoltà. Mi rompo il menisco.E poi accade una cosa folle, che ti dice cosa può essere l’Italia. Belen è all’Isola dei famosi. E io ho dei problemi al muscolo. Tu dirai: che c’entra?». Ovvio. «Un dolore terribile al flessore destro. Mi curano con i fattori di crescita, ma non passa. Ecografie e risonanze non vedono nulla». E poi? «Mi chiamano e mi dicono: “Belen è all’isola, tu stai soffrendo psicologicamente, temi di perderla, non ne sei consapevole, e così avverti il dolore”». Una follia. «Puoi dirlo.Ma la favola aveva un potere suggestivo per tutti. La tv può produrre questi effetti». Come accadeva? «Tutti nello staff si convincevano che fosse vero: “Stai soffrendo per Rubicondi e Belen”. A me di Rubicondi non importava un tubo. Avevo un male cane e basta». Non lo hai mai raccontato. «Ti spiego perché, tra poco.Continuo a giocare, ad allenarmi. Un dolore terribile, ogni volta; poi un giorno, lo schianto finale.Mi si strappano e si…annodano due muscoli della coscia. Avevo un grumo di sangue. Non avevano visto nulla». Primi responsi? «Un sussurro nero che ti insegue dopo i consulti: “Carriera finita”. Ma potevo arrendermi, con la storia che avevo?». Chi ti salva? «Un uomo a cui devo tutto. Enrico Castellacci, medico della Nazionale.Ortopedico geniale.Mi riattacca i muscoli, ma mancano centimetri che cambiano la vita di un atleta. Tornare in campo è un sogno». Lo tieni segreto. «Se si fosse saputo, sarei diventato subito un ex. Fermo 10 mesi. Ripartire da zero. Il muscolo non è più come prima: ho dolori, addirittura problemi posturali». Poi il punto di svolta della tua carriera: un enigma giallorosso. «Mi prende la Roma: 5 anni contratto, 4 milioni di euro l’anno». Un riconoscimento senza precedenti. «Era la stagione dei top player.Potevo andare al Real. O al Manchester United. Scelgo l’Italia, un grande club». Parti benissimo. «17 gol il primo anno, 4 in Champions. Poi arriva Sabatini. Senza neanche conoscermi dice: “È un problema”. Inizio a girovagare,ogni anno: metà stagione alla Roma, metà altrove». La tua ultima rinascita, a Cagliari: già sei gol. «Ritrovo Capozucca, mio ds al Genoa. Di Gennaro, cresciuto con me al Milan. Uomini come Storari, Padoin, colonne della serie A». Chiariamo il mistero della scommessa con Bobo Vieri? Dice che se segni 15 gol ti paga la vacanza. Dove? «Ah ah ah». Lo farai spendere molto? Valgono anche i gol in Coppa Italia? È il tormentone dei social. «Uno: spero di vincere, e per me vale tutto,perché segnare più di dieci gol fuori da un top club è già un’impresa.Due: se perdo, dico qui a Bobo che la vacanza gliela pago io.Terzo:se vinco,faccio un referendum e “il dove” lo faccio scegliere ai ragazzi dei social». Diventerà un tormentone. «Così se decidono un posto costoso non ho sensi di colpa». Vedi? Sei un social media man. «Mi diverto. Parlo a un pubblico grande.Molti ragazzini mi vogliono bene e mi stimano, posso insegnare qualcosa». Sei una webstar con il tuo amico Gianluca Vacchi. (Occhiataccia, ndr). «Abbiamo fatto un balletto per il mio compleanno, spero che sia consentito». Sembri quasi seccato. «Gianluca è una persona deliziosa, coltissima, uno che ti apre orizzonti. Sui social è solo un gioco». E il Borriello vip? «I paparazzi mi inseguono d’estate. D’inverno restano disoccupati perché io faccio casa, allenamento, partita. Stop». Temi, come Jessica Rabbit, di essere dipinto come non sei? «No. L’anno scorso ho segnato nove gol. Sono stato tra gli artefici della salvezza a Bergamo». Perché Cagliari? «È un ambiente stupendo. Pulito. Con Giulini una stretta di mano, scambio di sguardi, poche parole: “Scommetto su di te”». E tu hai risposto dicendo: «Voglio tornare in Nazionale». A 34 anni! «Il primo segreto è che sto lottando davvero per questo». Il secondo? «Io, biologicamente, non ho 34 anni. Sono un ragazzino». Non fare il mistico. «La nutrizione mi ha cambiato la vita. Sto meglio. Ho rimodellato le mie masse muscolari,peso sette chili meno che a Roma». Come hai fatto? «Credevo di nutrirmi bene. Con sacrifici: petto di pollo, insalatina. Poi incontro un uomo, Saverio Militano, un guru. La scienza del cibo è il tema del secolo. Cambierà vita alle persone, non solo agli atleti». Cosa intendi? «Non contano solo le calorie o le quantità,m agli ormoni. Io vario dieta di continuo». Come? «Con Saverio, ogni quattro mesi faccio analisi del sangue e modifico il menù. Mangio tre volte di più. In un giorno anche 200 grammi di pasta, dolci, ogni tanto persino la Nutella». Non ci credo. «Peso 81 chili, il mio minimo». Sei il giocatore più tatuato della serie A… «Il mio non è un tatuaggio. È uno stato d’animo. Mi sono messo una corazza». Metà del tuo torace. «Inizio a farli a 20 anni per moda. Ora raccontano chi sono, attraverso il corpo». Tatuaggi delle Isole Marchesi. «Solo per il petto, due anni». Hanno significati? «Il fiore della vita. La Guerra,i soldati. I simboli della Terra». Hai ancora di spazio sulla gamba destra… «C’è già un progetto: lì mi tatuerò i simboli del mare. Poi basta». Nato al sud, cresciuto al nord, di dove sei? «Di Napoli, al 100%. Quando mi arrabbio, negli spogliatoi, esce fuori il dialetto napoletano». Dove vivrai quando smetti? «Ho una casa a Ibiza. Andrò lì». Sei ancora un top player? «No. Sono affidabile». Vuoi avere un figlio? «Se trovassi una mamma lo avrei già: oggi vivo al 100% per il lavoro. Per vincere ancora. Ho tempo». E il Borriello vip? «Esiste,ma non sono io. Ho cavalcato quest’onda. Ma io sono un altro, quello che suda dietro alla palla in allenamento, quando non lo vede nessuno, a social spenti». Cos’è l’esperienza in serie A? «Sapere che trovi di sicuro un ragazzino più veloce di te.Ma che sbagli meno. E ti godi quello che ottieni,molto di più». Cosa impari da una carriera lunga 15 squadre? «Torni dove hai iniziato, sapendo che il campo da gioco ti tira fuori tutto. Il campo da gioco non mente, sa sempre chi sei. Ti prende e ti restituisce ogni cosa». In che senso? «Giri il mondo, scopri cose nuove, ma è sempre il luogo più bello dove stare. Per quelli come me, quelli malati persi di calcio»“. A riportarlo è l’edizione odierna “Libero”.