Scommesse. Il caso nasce a maggio, 24 ore dopo il -10 alla Juve. Fagioli story: quel blitz nei giorni del caos
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul caso scommesse che nasce da maggio.
Sono sentieri melmosi quelli sui quali il calcio sembra essersi impantanato. Il pallone presto tornerà a rotolare nelle aule di giustizia, riallacciando il filo di storie che con le loro tempistiche sono in grado di far tremare i polsi. Come nel caso di Nicolò Fagioli. Il calciatore si rompe la clavicola il 18 maggio nella semifinale di Europa League contro il Siviglia, quattro giorni dopo la Juve perde malamente a Empoli (4-1) e soprattutto vede infliggersi, a pochi minuti dal fischio d’inizio, il -10 in classifica per il caso plusvalenze, penalizzazione che poi diventerà definitiva in virtù del patteggiamento sulle manovre stipendi (includeva l’impegno a non procedere coi ricorsi). Nicolò vede andare in frantumi la stagione – il -10 diventa -13 sul campo a causa del ko del Castellani e la Champions sfuma definitivamente – seduto sul divano di casa a Piacenza, costretto dall’operazione alla spalla eseguita nella clinica Sedes Sapientiae di Torino. Ma ancora non sa che il peggio deve ancora arrivare. La mattina successiva, è il 23 maggio, suona al citofono la polizia. È questo il momento esatto in cui comincia il caso scommesse.
INCONTRO. Gli inquirenti chiedono conto a Fagioli di un incontro, avvenuto nei giorni precedenti in un bar di Torino, con uno dei sospettati della maxi-inchiesta sulle scommesse condotta da Manuela Pedrotta, pm del gruppo terrorismo ed eversione dell’ordine pubblico. La squadra mobile, scandagliando i siti illegali, va alla ricerca delle possibili connessioni con la criminalità organizzata e il signor X, allibratore conosciuto in certi ambienti, è un elemento chiave. Quello stesso soggetto viene visto in compagnia del calciatore della Juventus. Per quale ragione?
SEQUESTRO. Fagioli non nega nulla, tranne il tentativo di estorsione, e si dimostra subito collaborativo: «Ho scommesso» ammette, senza indugi, consegnando agli agenti il cellulare, il tablet e il pc. A quel punto, il 22enne si rende conto che il suo comportamento può avere pesanti ripercussioni in ambito sportivo e nelle ore immediatamente successive informa la Juventus, si rivolge a due legali e prende contatti con la procura della Figc, chiedendo un’audizione prima ancora che i magistrati di Torino trasmettano gli atti in Federcalcio. Gioca d’anticipo, con lucidità, nel momento di maggior caos. Poi scrive un messaggio su Instagram, di pancia, che molti in quei giorni spiegano con la voglia di reagire al brutto infortunio, ma che probabilmente nasconde un altro significato: «Ciò che non ti uccide, ti rende più forte».
A ROMA. L’infortunio lo costringe a stare fermo, non può allenarsi, ma così ha più tempo a disposizione per prepararsi a un terremoto mediatico che in realtà si scatenerà molto tempo dopo. È la fine di maggio, il procuratore federale Giuseppe Chiné gli spalanca le porte del suo ufficio in Via Campania, a Roma, e il centrocampista inizia a raccontare la propria storia, le ragioni della dipendenza, quando e come è nata, i soldi gettati al vento (più di 1 milione) e anche il modus operandi del “sistema scommesse” che coinvolge altri colleghi. Fagioli arricchisce la sua testimonianza con particolari talmente interessanti da far aprire subito un’inchiesta. Gli inquirenti – sia sportivi sia della magistratura ordinaria – lavorano sotto traccia e acquisiscono chat, screenshot, indirizzi IP e movimenti sospetti. Ed emerge un dato: il giocatore cresciuto nella NextGen bianconera avrebbe detto la verità, le sue ricostruzioni coincidono con gli elementi raccolti. «Nicolò non è un pentito di mafia» raccontano amici e conoscenti, rifiutando la versione secondo la quale Fagioli avrebbe fatto nomi e cognomi pur di ottenere uno sconto di pena. Il patteggiamento, comunque, è in arrivo.
DISTURBO. La consapevolezza del disturbo non tarda ad arrivare. Nicolò ne parla in famiglia, chiede consiglio agli specialisti della Juve e già in estate sceglie di affidarsi al professor Jarre, un luminare delle patologie da dipendenza che tuttora visita una volta a settimana, inserito in un progetto di Dipartimento Patologia delle dipendenze dell’ASL TO3. Le sue finanze ora vengono gestite da un amministratore e da mesi è in cammino per guarire dal disturbo patologico del gioco d’azzardo, anche se a breve dovrà fermarsi per una inevitabile squalifica.