Intervistato ai microfoni dei media argentini, l’ex rosanero Guillermo Barros Schelotto, ha parlato della sua esperienza al Palermo: «Sinceramente mi aspettavo di rimanere di più in Italia. Sono state delle settimane intense, ma brevi, poiché l’UEFA non mi ha riconosciuto il tesserino da allenatore. Avevano detto a me e a mio fratello Gustavo che erano necessari solamente tre anni di esperienza da tecnico di una prima squadra e noi ne avevamo conseguiti tre e mezzo sulla panchina del Lanus. Poi le carte in tavola sono cambiate. Abbiamo deciso in una sola notte cosa fare, era domenica e la comunicammo un giorno dopo alla società rosanero. Qui in Argentina lo seppero prima che il Boca Juniors giocasse contro il San Lorenzo in Supercoppa. Decisi allora di rassegnare le mie dimissioni, pur sapendo che stavo per lasciarmi scappare un’opportunità unica, che potrebbe anche non più capitarmi in carriera. Però questa era la decisione più logica da prendere. Se fossi rimasto a Palermo, fino a giugno avrei dovuto vivere nella seguente maniera: non sarei potuto entrare nello spogliatoio, lo staff tecnico non avrebbe potuto prendere posto in panchina. Zamparini mi ha fatto sedere in panchina in qualità di dirigente accompagnatore. Poteva essere una soluzione, ma che allenatore è quello che durante le partite non può alzarsi, raggiungere il bordo del campo e urlare indicazioni ai propri giocatori? Ci siamo sentiti limitati e soprattutto a disagio: non è un trattamento cui sono abituati gli allenatori. Per questo motivo ho detto basta. E l’ho detto soprattutto per il bene del Palermo. I giocatori hanno bisogno di ricevere i giusti incitamenti durante un match e li vogliono ricevere da quel tecnico che li allena in settimana. Una squadra come quella rosanero, in piena lotta per la salvezza, ha bisogno della massima comunicazione tra tecnico e calciatori».