Scarcerazioni ai tempi del Covid19, parla il presidente del Csm: «Sono uscite 8mila persone»

Un detenuto del carcere psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, 3 marzo 2013. ANSA/MAURIZIO DEGL' INNOCENTI

«Il rapporto tra detenzione e la maggior circolazione del virus sembrerebbe gravemente smentito, ma su questo presupposto sono uscite circa 8000 persone dal carcere. Un esito che rimarrà penso nella storia del nostro Paese. Non c’è mai stata una dismissione così massiccia di detenuti mafiosi dal carcere». A dirlo è stato il presidente della Prima commissione del Csm, ed ex capo del Dap, Sebastiano Ardita in una video intervista all’associazione “Memoria e Futuro”. «Sono abituato a parlare sulla base di prove – ha ribadito Ardita – e su questo non mi sbilancio, le suggestioni e gli indizi per lavorare e cercare le prove ci sono tutti, occorrerebbe approfondire la questione». Stando a quanto riferito da “Blogsicilia.it”, secondo Ardita nelle carceri italiane «da qualche anno c’è una gestione della sicurezza interna che probabilmente nuoce al rispetto delle regole interne. Perché c’è un’apertura delle celle un poco indifferenziata che non tiene conto dei livelli di pericolosità. Rischio Coronavirus nelle carceri? Non è stato fatto uno studio, e questo è abbastanza grave, e dunque non c’è la prova che sia così, ma abbiamo un indizio forte, ma forse anche una prova, del contrario, del fatto che in carcere il virus si sia diffuso per la metà rispetto all’esterno. Il garante dei detenuti riferisce 138 casi in carcere, a fronte di oltre 100 mila della popolazione nazionale. Inoltre ci sono stati zero casi di morte per coronavirus connessi ad un contagio in carcere, 28 mila tra le persone libere: il rapporto tra detenzione e la maggior circolazione del virus sembrerebbe gravemente smentito, ma su questo presupposto sono uscite circa 8000 persone dal carcere. Come mai prevale la tutela della salute dei detenuti piuttosto che la sicurezza sociale? Evidentemente la sicurezza sociale legata al pericolo della mafia comincia a pesare poco. Ciò unita all’input proveniente da altri poteri dello Stato è stato quello di considerare pericolosa la detenzione con il virus, da un lato, e dall’altro è stato quello di comunicare a chi doveva decidere che non c’era la possibilità di gestire in carcere queste situazioni in modo adeguato, queste due questioni hanno prodotto questo risultato che rimarrà penso nella storia del nostro Paese. Non c’è mai stata una dismissione così massiccia di detenuti mafiosi dal carcere».