Sassuolo, Berardi è tornato: «Voglio una big. Da anni sogno la Champions»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” riporta un’intervista a Berardi.
Le parole più belle sono spesso quelle non dette, quelle che naufragano nei silenzi. Non sappiamo se John Keats, poeta britannico, avesse ragione, ma di sicuro ogni parola pronunciata ieri da Domenico Berardi riemerge dal naufragio nei silenzi di un uomo di trent’anni gentile e spiritoso, che non ama le interviste, ma che, avendo deciso di concederne una dopo tantissimo tempo, si apre davvero, con il sorriso e senza segreti.
Mimmo, come mai lei è ancora a Sassuolo?
«Perché questa è la mia seconda famiglia e non è un modo di dire. Non dimenticherò mai il rapporto con il dottor Squinzi e sua moglie, che mi hanno trattato come un figlio e mi hanno fatto crescere. Era amore reciproco. E anche con Giovanni Carnevali c’è un legame simile».
La famosa partita di calcetto grazie alla quale lei fu scoperto è realtà o mito?
«Tutto vero. E sia chiaro: la vinsi da protagonista eh… Anche perché sennò chissà dove sarei adesso. Non riuscivo a fare un provino. Quella volta fui fortunato anche perché calcio e calcetto sono due sport diversi. Ma Pasquale Di Lillo, l’unico che conoscevo in quella partita, si attivò e chiamò Luciano Carlino, allenatore degli Allievi del Sassuolo. Andai al campo e dopo due giorni Gianni Soli, responsabile del settore giovanile, mi disse: “Chiama casa, tu non torni in Calabria”. E sono ancora qua».
Da piccolo chi voleva essere?
«Robben: avevo il suo poster in camera. Poi, ovviamente, l’altro idolo era Messi».
Dal 2013, suo primo anno in A, questa è la classifica cannonieri: Immobile 196, Higuain 125, Zapata 124, Berardi 122, Dybala 121. Si sente un po’ sottovalutato?
«Se guardo i numeri, un po’ sì. In fondo ho giocato e segnato sempre in una squadra che non lottava per lo scudetto o per le coppe. Quella classifica dice che faccio parte di un gruppetto composto da grandi calciatori e io sono un esterno, non un centravanti. Mi sono sempre caricato contro squadre importanti e negli stadi mitici. Quando gioco a San Siro, per citarne uno, vivo il sogno di ogni bambino e do il massimo per dimostrare sempre di poter stare in un posto così magico. E mi godo un’altra soddisfazione: so di essere l’idolo indiscusso dei fantallenatori e va bene così».
Leader silenzioso in apparenza, caciarone nello spogliatoio. Conferma?
«Sì, nel mio ambiente ho sempre la battuta pronta. Due anni fa con Frattesi, Consigli e Marchizza qui era uno scherzo continuo. Organizzo cene, faccio gruppo».
Una volta disse: “Potendo scegliere, giocherei nel Liverpool”. Ha potuto scegliere e ha scelto di restare sempre al Sassuolo. C’è stato un momento in cui ha pensato di andare via?
«Sì, più di uno. Tre anni fa mi voleva l’Atalanta, ma dissi di no perché non ritenevo di essere adatto soprattutto dal punto di vista fisico a quel tipo di gioco. L’anno scorso volevo andare alla Juve, ma i club non si sono accordati. Io ci rimasi male, ho litigato con la società perché era il momento giusto. Ma poi ho voltato pagina e ho ripreso a dare tutto per il Sassuolo».
Un momento in cui ha pensato: “Ho sbagliato a non andare via”?
«Con la testa dei 30 anni le dico che a 20-21 avrei potuto credere di più in me stesso e provarci. Però le scelte si fanno quando bisogna farle».
Un momento in cui ha pensato: “Maledizione, io la Champions la voglio giocare”?
«Da tre anni a questa parte, sempre. La musica della Champions la voglio sentire dal campo. È un’ambizione profonda, che voglio soddisfare».
Già a gennaio o nella prossima stagione?
«Se a gennaio, dopo questi mesi col Sassuolo, sarò al 100% e arriverà l’offerta giusta, andrò via. Altrimenti, se non sarò ancora il miglior Berardi e avrò bisogno di giocare per ritrovare la migliore condizione, resterò qui fino a giugno. Valuteremo con la società, come sempre».
Maldini, Del Piero, Totti. E Berardi. Lei è l’ultima bandiera. In un club di provincia ha più valore?
«Credo di sì. Non dico che per quei grandi campioni fosse facile e posso solo immaginare le pressioni che hanno sopportato. Ma forse la mia scelta è stata meno semplice. Ho fatto una carriera diversa, ma sono contento».