L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Ternana-Palermo nel ricordo di Viciani.
A “casa” del Maestro e di un personaggio che, passato a miglior vita, illumina la sfida di sabato tra i due amori calcistici della sua carriera. «Mi auguro che la Ternana possa ripetere quello che facemmo nel ‘72, la prima A di sempre in Umbria, promozione che sfiorammo poi col Palermo nel ‘74 e nel ‘75 le squadre migliori che abbia mai avuto», ci disse nella sua ultima intervista. Oggi, del profeta del “gioco corto” che ha ispirato perfino Sacchi e Guardiola, di quel bel ragazzo che lavorava con estrema professionalità, che imponeva lunghi ritiri (ma lui stava con gli amici con la giustificazione che «i calciatori sono pagati per i sacrifici, non chi li guida…»), che un giorno diede uno schiaffo a Massimiliano Allegri che dopo un gol si rivolse al pubblico con un gestaccio, che fece allenare di notte l’architetto Sandro Vanello, che amava la musica lirica e James Last, che frequentava artisti famosi come Corrado Cagli, Renato Guttuso e Giorgio De Chirico, che sfidò l’Italia delle grandi in quel memorabile appuntamento di Coppa col Bologna perso ai rigori, di Corrado Viciani sono rimasti solo ricordi sospesi nel tempo.
Protagonista apprezzato e odiato, come tutti i ribelli, nei salotti, esibiva profonda cultura e idee rivoluzionarie. Giornalisti e belle signore erano i suoi compagni. Lui in B ma sempre in prima pagina per i suoi ideali. Silvana, la moglie, dolce e comprensiva, era bersaglio e punto di riferimento della sua esistenza. Pensate che una volta, quando un tifoso gli gridò: Sei un cornuto, lui rispose: «Tutto mi potete dire, questo no. Avete visto quanto è brutta mia moglie?». Ovviamente non era vero. Silvana, bella, colta e intelligente, farmacista e insegnante di matematica era il suo parafulmine, la spalla ideale, senza la quale Viciani non sarebbe stato Viciani. Prova ne sia che, morto il marito nel 2014, l’anno dopo si spense anche lei per il dolore. Di quell’uomo sensibile al fascino femminile, pronto alla battuta, inventore di un nuovo modulo che somigliava a quello dell’Ajax ma che lui aveva ribattezzato «il calcio brasiliano alla velocità degli inglesi», che aveva convinto Cagli a disegnare una nuova divisa rosanero (quella con due coppie la[1]terale di strisce nere, le bretelle), di quel tecnico che anticipava le mode di Mourinho e dei suoi più scatenati seguaci, è rimasta la maledetta Coppa Italia del ‘74.
«Hanno vinto i poteri forti – disse – quel trofeo lo sento mio, è del Palermo, eravamo i migliori, correvamo più di tutti. Senza l’intervento dell’arbitro, l’avremmo conquistata. E la mia strada sarebbe cambiata» A Palermo lo volle Renzo Barbera colpito dai suoi concetti e dal suo mondo intimo. Ma per il Gattopardo i calciatori erano come figli e non poteva sopportare il pensiero che Viciani li trattasse come ingranaggi di una catena. «Ho la squadra più abbronzata d’Italia – rispondeva il tecnico al presidente – come posso vincere un campionato?». I giocatori minacciarono lo sciopero, Barbera, istigato da Favalli e Vanello («Viciani parla sempre di libertà ma noi siamo liberi di fare solo quello che dice lui»), amici del figlio Ferruccio e abituali frequentatori della sua villa, si convinse a lasciarlo partire, malgrado un rinnovo biennale sulla parola. La rottura del resto partiva da lontano. Vigilia di Capodanno, dicembre ‘74. Mese decisivo per il Palermo che, in seguito a un vero e proprio ammutinamento, sceglieva nel segreto dello spogliatoio le strategie vincenti, in barba al calcio totale e al continuo pressing dettati dal suo allenatore.
Stanca di prendere quattro gol a Brescia, quattro ad Arezzo e due a Terni, comunque, quindici in nove partite, la commissione interna decise che bisognava trovare un limite alla costante manovra offensiva. Lo spogliatoio si ribellò nel silenzio: Viciani ordinava l’assalto, i suoi rispondevano con più accorti equilibri. Così si passò dalla banda del buco e dalla sfiducia al settimo posto, alla finale di Coppa Italia scippata dal Bologna e, la stagione successiva, a una impresa mancata per due sconfitte nelle ultime tre di campionato quando bastavano solo tre punti in più per la A. Una favola finita male. Il miracolo della Ternana di Viciani era comunque diventato un romanzo di riscatto sociale. Calcio e fabbrica. Contava poco che a Terni ci fosse l’acciaieria e non l’università. La domenica la città aveva qualcosa: «Il pallone», andava fiero Corrado. Al di là del calcio proletario, c’era un eroe a suonare la carica e aveva il volto, le intuizioni, i capricci di un giovane
emergente. Suo il primo, grande, esperimento di calcio collettivo: il gregariato elevato a sistema. Teoria che rimane la più moderna idea di calcio. Con la sua invenzione, Viciani scatenò inviati, titoli, libri come “Il gioco è bello quando è corto” di Gian Luca Diamanti che accostava la rivolta degli studenti del ‘68, il primo uomo sulla luna del ‘69 alla Ternana in serie A. Sabato, Ternana e Palermo festeggiano anche i cinquant’anni della promozione in A a braccetto: Ternana prima, Palermo terzo. Poi le gerarchie sarebbero cambiate fino alle uniche due vittorie in trasferta conquistate dai rosa solo in tempi recenti con le doppiette di Belotti, con Iachini, e di La Gumina (più Rolando) con Stellone. Terni non è più un tabù. Vero Corrado?