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Rivoluzione Superlega, De Laurentiis: «E ora facciamo la serie élite. Palermo con garanzie economiche non può fare la trafila dalla serie D»

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla Superlega e riporta un’intervista ad Aurelio De Laurentiis.

Per Aurelio De Laurentiis la sentenza della Corte di giustizia europea è un «cambiamento epocale». Lo ripete almeno tre volte in una chiacchierata di mezz’ora negli uffici di Palazzo Bonaparte, dov’è ubicato il quartier generale della sua Filmauro. «La posizione dominante di Uefa e Fifa, che oggi l’Europa censura, è servita a elargire bonus in cambio di consenso – dice -. Chi ha governato fin qui da monopolista non ha compreso che il calcio è un’impresa e ha bisogno di fatturati crescenti. Se io investo centinaia di milioni per partecipare a un circo che distribuisce noccioline, non fa utili e mi costringe a giocare sempre di più per tenere in piedi un carrozzone improduttivo, il gioco non vale la candela».

La candela adesso si è spenta. Lei ci soffiava sopra dal 2013, quando fu tra i primi ad attaccare il monopolio. Poi però non prese parte al blitz della Superlega. Perché? «Non mi convinceva, lo dissi ad Andrea Agnelli. Mancava un avvicendamento di merito connesso al valore delle singole squadre».

Oggi sono venuti sulle sue posizioni. L’ad ha rilanciato l’idea di un campionato europeo aperto alla competizione. Eppure le prime reazioni sono tiepidine. Gli inglesi si sfilano, e anche in Italia sono più i “no” che i “sì”. «Ma in Italia chi sono i veri imprenditori del calcio? RedBird sta in America. L’Inter non si sa di chi sia. Chi parla a suo nome fa i conti dei bilanci che…».

Non si sono fidati di lei? Hanno pensato che volesse egemonizzare l’affare? «Ma no. Se non fosse stato per il covid, io sarei stato più in America che qui. Il fatto è che non hanno esperienza della creatività dell’audiovisivo. Non sanno come si costruiscono i contenuti su un piano editoriale. Non è il loro mestiere e quindi navigano al buio. Perciò questa svolta è doppiamente importante».

Perché? Si spieghi meglio. «Perché a catena molte croste sono destinate a saltare. Nel 1986 c’erano sedici club. Oggi sono venti e le entrate sono diminuite, anziché aumentare. Finché non si stabilisce che la maggioranza si calcola con il voto ponderale dei club, cioè dando più peso a chi fattura di più, nulla cambierà. Le piccole continueranno a egemonizzare la Lega con una logica sparagnina, perché il loro unico obiettivo è evitare la retrocessione. Questa sentenza ci esorta a cambiare regole».

Ma se una federazione oggi revocasse l’affiliazione ed uscisse dal sistema, i calciatori che hanno firmato un contatto si svincolerebbero? «Non credo proprio. Certamente non con i miei contratti. Mi hanno spesso preso in giro perché li faccio di cento pagine. Certo, è più facile firmare che negoziare. Ma se vuoi produrre ricchezza devi saper trattare. Ho messo a disposizione i miei testi a tutta la Lega da almeno dodici anni. Se poi sono l’unico che ha avuto i diritti di immagine, non è colpa mia».

In che modo lei cambierebbe il calcio? «Stiamo perdendo i giovani. Ci vuole più dinamismo. Basta fuorigioco fischiati dopo che l’azione è finita e si è andati in gol. Basta con questa qualità arbitrale. Ci vuole il tempo effettivo, come nel basket. E il challenge per chiamare il Var a domanda di parte».

E la riforma dei campionati? «Farei subito una serie E, dove E sta per élite. Sole squadre di città con un numero rilevante di tifosi. Un Palermo che dà garanzie economiche non può fare la trafila dalla serie D. Un Bari che ha un bacino di un milione duecentomila fan non può stare dove sta. Mentre in prima serie ti trovi città di ventimila abitanti che non fanno diecimila biglietti. Allora io dico: alle sette, otto squadre che egemonizzano la classifica, aggiungiamone altre sette che possono avere le stesse ambizioni. E chiudiamo a 14 posti nella serie d’élite. Poi due gironi di Serie A da venti squadre. E il resto è dilettantismo, che funga da vivaio».

Ma dalla serie Élite si sale e si scende? «No, come il basket in America. Che ha i palazzetti strapieni. Vai a vedere i Lakers e non riesci a trovare un biglietto. Poi chiediti quanto incassano. E qualcuno obietta che il senso agonistico verrebbe a mancare. Non è vero niente».

Ma se sopra la serie Élite nasce un campionato europeo, il Napoli è sicuro di starci dentro? «Quando sono arrivato, il Napoli era al 550° posto. Oggi è tra le prime quindici squadre al mondo».

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Redazione Ilovepalermocalcio