Rivista Undici: “Che cosa significa essere tifosi del Palermo? La risposta di Dario Mirri”

La “Rivista Unidici” dedica spazio al Palermo, partendo dal passato fino ad arrivare alla rinascita odierna. Di seguito vengono riportate alcune parole rilasciate dall’attuale patron rosanero Dario Mirri:

“Per trent’anni non c’è stata un’osmosi tra il club e la città: chi scendeva in campo non rappresentava veramente Palermo. Che cosa significa allora essere tifosi del Palermo? O piuttosto, chi sono i tifosi del Palermo? «Quelli che tifano solo Palermo», mi dice Mirri, che sulla fidelizzazione sta puntando tutto: il nome stampato sul seggiolino per gli oltre diecimila abbonati in Serie D (cinque volte quelli dell’anno scorso, quando la squadra lottava per la A, e record per la categoria strappato al Parma: qualcosa deve voler dire), una polo a testa col numero di tessera ricamato e il nuovo logo – l’aquila di sempre ma con diverso design – cosicché gli abbonati si riconoscano e si facciano riconoscere, e poi forse finalmente un museo della storia del club: un modello inglese per «riavvicinare davvero i palermitani alla loro squadra». «Quando da giovane mi chiedevano per chi tifassi, e io rispondevo Palermo, mi sentivo dire: sì, ok, ma per chi tifi davvero? E io non ne potevo più», mi racconta ancora Mirri, che chissà quante volte se l’è ripetuto in testa questo discorso. Fare il presidente del Palermo dice fosse il suo sogno. Venuto, immagino, guardando da piccolo lo zio. «Il punto», ne è certo, «non è la categoria, ma l’attaccamento». L’appartenenza, invocata da uno striscione degli ultras alla presentazione della nuova squadra. Come si crea, e perché non si sarebbe creata? Dieci anni fa, all’apice dell’era Zamparini, quando i gol e i campioni mettevano a tacere quasi tutti, l’attore palermitano Pino Caruso diceva questo: «Meglio soli e poveri che con un presidente che tratta la squadra come un supermercato». Ma non vedeva solo le colpe del “presidente-padrone”. Era immorale, pensava, che la quinta città d’Italia non riuscisse a esprimere una classe dirigente in grado di assumersi la responsabilità della squadra locale. Anche, se il caso, a un livello più basso, con meno ambizioni. Una questione di colonizzazione, e di mancanza di autodeterminazione. «Troppo spesso la nostra disposizione all’accoglienza è stata fraintesa con la sudditanza: pensano che i siciliani siano babbi. La città è stata troppo a lungo una colonia di Inter o Juve. Ora i palermitani non devono più aspettare. Dobbiamo fare da noi», seguita a dirmi il nuovo presidente nel suo discorso-manifesto. E non è chiaro se è lui che fa da megafono agli ultras o il contrario; o magari davvero si sono trovati. Del pacchetto fa parte però il fallimento: non tanto della società – a questo ci hanno già pensato quelli a cui Zamparini aveva messo in mano il destino del club, dopo aver spergiurato per anni che avrebbe venduto solo a chi offriva garanzie – ma piuttosto del progetto, degli sforzi; tra i rischi c’è quello di finire sul carro del perdente, da cui sarebbe meno facile scendere per tornare a cambiare canale. Sulle macerie si traballa, e a volte si cade”.