L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul futuro del Catania e lo fa attraverso le parole di Ricchiuti.
Quelle 86 partite dispute in Serie A a cavallo tra il 2009 e il 2013 sono bastate per far diventare Adrian Ricchiuti i più catanese della centuria argentina che entrò di diritto nella storia rossazzurra. Stagioni d’oro, con successi memorabili e un entusiasmo che, anche a distanza di tempo, mai è diventato sbiadito. «C’erano le vittorie – riconosce l’ex centrocampista – ma soprattutto il rapporto con i tifosi che aveva aspetti umani intensi».
Oggi Catania vive giorni diametralmente opposti.
«Ci sono sempre componenti legate all’entusiasmo, alla voglia di vedere una squadra di calcio giocare con i colori rossazzurri, che mi fanno ben sperare. Da questo punto di vista, Catania ha tutto per ripartire. Ma attenzione: gli speculatori del calcio stiano lontani da quella splendida realtà».
Qualche giorno ancora e la Figc assegnerà un titolo sportivo agli amministratori.
«Il Comune stia attento nell’accettare persone competenti che possano programmare. In Italia ci sono coloro che fanno i comodi propri e poi spariscono, a Catania non deve più accadere. Capisco i tifosi che hanno voglia di calcio come la città merita, ma in questa fase tocca partire badando bene ai particolari: deve esserci una programmazione duratura in modo da recuperare quel che negli anni il club passato aveva guadagnato. Occhi aperti, perché poi a distruggere tutto si impiega poco».
Se si ripartisse dalla D?
«Anche tra i dilettanti si vince programmando con serenità, come hanno fatto le squadre di blasone: occorre una società seria, serve rifondare il settore giovanile e non sarà facile dopo il buon lavoro recente. Adesso leggo di tanti talenti che si stanno sistemando nei vivai di squadre di A e B. Che peccato, s’è perso un patrimonio inestimabile».
A Rimini da calciatore ha vissuto una storia simile.
«Per questo motivo lo ribadisco: è facile tornare tra i prof e ritrovarsi con poco in mano. La D è diversa dalla C a livello economico e non solo: ma è inutile vincere all’insegna dell’improvvisazione. Si rischierebbe di tornare ancora una volta indietro».
Quattro stagioni in rossazzurro: il pubblico la ricorda con un affetto fuori dal normale.
«Sono stati anni favolosi. Il primo culminò con una salvezza incredibile durante la gestione Mihajlovic. Nessuno credeva nel Catania, ci consideravano spacciati. Ma rimontammo».
L’extracampo di Ricchiuti era un bagno di folla quotidiano.
«Lo dico spesso alla mia compagna che è catanese: il lunedì mattina mi immergevo nella realtà colorita della fiera in corso Sicilia. Una sensazione impagabile. Respiravo l’aria della città, con i tifosi accanto. C’è gente fantastica laggiù. Tornerò in estate per gustare la vita dei tifosi. Ed è quello che mi piace del calcio al di là delle gare. Lo ripeto ai ragazzini che alleno. Si passa dalla gloria agli insulti, ma in fondo resta il rapporto umano».
Ha seguito l’ultima stagione del Catania?
«Costantemente. Ed è stato un campionato di alti e bassi per quello che è successo. Va tributato un applauso a chi ha lavorato per tirare avanti fino alla fine. Mi è dispiaciuto non assistere al derby di ritorno col Palermo, so come si sentono i tifosi adesso. Mancavano pochi giorni, si doveva completare la stagione. Penso che, a tal proposito, il calcio abbia perso credibilità»