Repubblica: “Zamparini, dall’aureola all’ira l’ex benefattore e la città “ingrata””
“L’arrivo di Maurizio Zamparini a Palermo fu accolto come se giungesse direttamente Cristo in persona, magari in tuta e scarpette, pronto a mettersi al lavoro insieme al suo personale sportivo un Salvatore, magari in grado di sollevare le dita benedicenti e in pochi istanti rendere possibile l’inenarrabile resurrezione calcistica dei rosanero, il sogno cittadino, il trionfo della squadra, reduce da ogni sorta di pregressa traversia, nella maggiore divisione, e già che ci siamo, comprensibilmente, umanamente parlando e pensando un po’ agli affari suoi, un nuovo stadio, lo stadio “Zamparini” in luogo del già trascorso “Barbera” già “Michele Marrone”, stadio multiuso, ispirato alla sua ottica imprenditoriale. E poi magari, dai, anche un bel centro commerciale, ampio e luminoso come una nuova cattedrale, ora e sempre ispirata a Zamparini. Molti di questi miraggi sono stati presto raggiunti, il Palermo ha velocemente conquistato la A, dal cielo sono piovuti migliaia ancora migliaia di nuovi abbonamenti per la Favorita, e da lì a poco anche il centro commerciale è diventato realtà concreta, l’immenso luminoso Centro Palermo-Conca d’oro, roba da far pensare allo stesso miraggio di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, per fulgore scenografico zampariniano. Non c’è volta che, passando di lì, non pensi al miracolo Zamparini in città, fatti e orgoglio concreti, la squadra nuovamente certa di sé, e altrettanto i palermitani, i tifosi, gli abbonati, roba che non si vedeva dal tempo degli ultimi anni Sessanta. Anche i panellari, ora che ci penso, guardavano a Zamparini con trepidazione, temendo che la mafia, comunque ingorda, potesse presentarsi a pretendere di partecipare al banchetto dello stadio, della squadra, della gioia infine riconquistata. Così pronunciava infatti il mio fornitore di panelle e crocché di zona: «Non facciamo che la mafia lo va a inquietare, che quello poi, Zamparini, prende e se ne va, e così ci finisce pure il Palermo!». Perché, commentava il popolo grato, mettendo da parte perfino il fatto che i migliori giocatori finissero assai presto venduti all’antagonista migliore offerente, perché Zamparini resta pur sempre un imprenditore, un capitano d’industria, un Rockefeller, e dunque che gli vogliamo imputare, eh? Quindi, arrivato il cosiddetto tempo dei limoni neri, delle incomprensioni, Zamparini ha saputo dare il meglio di sé, del suo amor proprio, forte dell’aureola e dal bastone pastorale di Benefattore venuto da «là fuori», dovendo trovare una propria risposta alla cattiva voglia di dare seguito alle soddisfazioni calcistiche per i “suoi” rosanero, si è giustamente inventato l’ingratitudine dei, sempre suoi, ormai quasi concittadini. Roba che a Palermo non riconoscono mai i tuoi sforzi, e non capiscono che se finisci in tribunale spesso è proprio per eccessiva generosità, di più, per colpa loro, a proposito: l’ex presidente del Palermo Calcio deve scontare gli arresti domiciliari, tra le accuse di autoriciclaggio e falso in bilancio. Nell’ipotesi della procura, Zamparini si sarebbe «sistematicamente servito di una società nata per la commercializzazione dei prodotti rosanero di cui era l’amministratore di fatto, come di una sorta di “cassaforte”, per mettere al riparo le disponibilità correnti della società dalle procedure esecutive dell’erario, nei cui confronti il club era esposto per milioni di euro fino al 2017». La verità però ci dice che i palermitani non hanno cuore, se non per se stessi, e invece dovrebbero prendere il loro presidente, è sempre Zamparini che qui idealmente parla, come l’oracolo di se stesso alle prese con un monologo interiore personale, e magari metterlo lì su un altare mobile e, già che ci sono, portarlo in giro come accade con la Madonna di mezz’agosto, se non direttamente come Rosalia con il suo sontuoso carro, altro che accusarlo di professare l’hobby di prendere a calci nel sedere un allenatore dopo l’altro, perché, diciamocelo francamente — ed è sempre virtualmente Zamparini a parlare — ma se non ci venivo io, a voi chi vi toglieva dalle catacombe dei Cappuccini e dei Beati Paoli dentro cui la squadra era finita, eh, dai, ditemelo? Così facendo, così dicendo, l’amaro calice dell’ingratitudine, la spugna imbevuta di aceto che già Gesù (collega di Zamparini, s’intende) dovette bere, ma se fosse questa una semplice, raffinata tecnica di fuga? Davanti alle accuse che gli vengono mosse, e fuga davanti ai palermitani che, prima poi, incontrandoti, non importa dove, comunque incontrandoti, perché il mondo è pieno di palermitani, che di sicuro ritroverebbero Zamparini anche agli antipodi, che prima poi incontrandoti ti direbbero: «Maurizio, ma che minchia avevi in testa, eh?»”. Questo il racconto dell’era Zamparini a Palermo raccontato dall’edizione odierna de “La Repubblica” che parla dell’arrivo di Zamparini fino agli arresti domiciliari.