Vito Chimenti torna in campo per il Palermo a 41 anni di distanza dall’ultima volta, al netto della “Notte dei campioni” quando lo stadio “Renzo Barbera” gli ha riconosciuto il giusto tributo al suo ingresso in campo per la presentazione del nuovo Palermo. Chimenti rappresenterà i tifosi che si sono impegnati nell’azionariato popolare nella consulta d’indirizzo del club. Intervenuto ai microfoni de “La Reppubblica”, l’ex calciatore rosanero si è espresso così in merito a questo suo nuovo incarico: «È un incarico che mi riempie di orgoglio speriamo di essere all’altezza della situazione. Mi metto a disposizione di tutti per il bene del Palermo. Penso di avere lasciato un buon ricordo e ho ricevuto un affetto immenso. È un rapporto speciale che spero di continuare a coltivare Cosa mi viene in mente quando penso al Palermo? Gratitudine. È una città che mi ha dato tante soddisfazioni e mi ha permesso di raggiungere traguardi importanti da giocatore. Palermo e il Palermo sono rimasti dentro di me. Forse potevo fare di più nel Palermo, ma per problemi societari sono dovuto andare via. Il presidente Barbera rischiava grosso economicamente se non fosse riuscito a vendermi, il mio sacrificio è stato importante per salvare la sua famiglia. Sarei potuto ritornare, ma poi non si è concretizzato nulla. Se è vero che Erminio Favalli mi anticipava i soldi dello stipendio che Barbera non riusciva a darmi? Erminio Favalli è stata una persona importante per il Palermo, oltre a essere un giocatore e un capitano era tutto per il Palermo. È vero, lo faceva. Faceva anche sacrifici personali per il Palermo e ha aiutato molto la società contribuendo di tasca sua. Prima il calcio era più bello rispetto ad oggi. Era più familiare, i giocatori avevano voglia di giocare per la maglia e per la città della squadra in cui giocavano. Oggi è cambiato tutto. La colpa è del sistema, non dei soldi. Quando hanno aperto le frontiere agli stranieri senza regole, quando hanno iniziato a dare ingaggi sempre più alti, di fatto si sono premiate le società più importanti a danno di quelle più piccole. È per questo che oggi i piccoli club vanno più spesso in difficoltà. Cosa sarebbe successo senza il calcione di Cabrini nella finale di Coppa Italia contro la Juventus? Sicuramente mi portavo la coppa a casa. Ne sono sicuro. Mi dispiace molto, ma nel calcio sono cose che capitano. In altre partite ho preso calci, ma non così da essere costretto a lasciare il campo. Mi ha preso nel mio punto debole e non sono più riuscito a giocare. Il mio rapporto con Mirri? Riconosco il gene Barbera. Lo zio era tifoso come il nipote. So che Dario si è messo a piangere quando sono stato ceduto, ma non dipendeva da me. Si doveva fare per forza così. Ci sentiamo spesso, non dico ogni settimana, ma quasi. Mi sembra l’uomo giusto per il nuovo Palermo. È un grande imprenditore e penso che riuscirà a portare il club dove merita. Anche perché, non scherziamo, la serie D non esiste per il Palermo e anche la C deve essere di passaggio.Non sono categorie da Palermo, lo stadio “Barbera” non è da serie D.Quando una squadra fa 20 mila spettatori e ha più spettatori di un club di A non può partecipare a campionati dilettantistici. Da giocatore era bello dopo l’allenamento o dopo la partita andare in città, incontrare i tifosi.Sentivi l’affetto della gente. Andavo in giro per i quartieri, era bello sentirsi parte della vita dei palermitani. Non ho visto differenze, per me è uguale. Bella era prima e bella è adesso. Se mi piacerebbe lavorare nel nuovo Palermo? E a chi è che non piacerebbe lavorare con questa società? Ci verrei a piedi e di corsa. È una società seria, ambiziosa, fa ventimila spettatori ogni domenica: proprio non riesco a immaginare uno che potrebbe rifiutare Palermo. Tornare alla Favorita, vedere lo stadio tutto cambiato rispetto alla prima volta che ci sono entrato da giocatore, mi ha ricordato la mia prima volta col Napoli. Per questo mi sono emozionato. E poi se non ti emozioni non sei vivo. All’esordio feci la bicicletta, feci gol, un debutto così si poteva solo sognare. E invece io l’ho proprio vissuto».