Repubblica: “Una vita da arbitra tra i maschi: «A noi l’errore non è concesso»”
L’edizione odierna de “La Repubblica” dedica ampio spazio a Maria Soler Ferrieri Caputi il primo arbitro donna a dirigere una gara di serie A.
Stéphanie Frappart, francese della Val-d’Oise, ha 40 anni e un record che resterà indelebile nella storia del calcio: è stata la prima donna ad arbitrare in un Mondiale maschile (1° dicembre 2022 in Qatar, Costarica-Germania). Maria Sole Ferrieri Caputi ha 33 anni, è di Livorno, e anche il suo nome è già scritto negli annali: prima donna a dirigere una partita di Serie A (2 ottobre 2022, Sassuolo-Salernitana). A una platea di 200 persone, arbitri come loro, in un cinema teatro sul lago di Lugano, hanno raccontato come hanno abbattuto gli stereotipi. Stéphanie Frappart ha un fisico da maratoneta e la metafora vale per la sua lunga corsa tra i pregiudizi, che ha illustrato partendo dal principio. Quando il sogno era di diventare calciatrice: «Tutto nasce dalla passione per il calcio: a scuola, a ricreazione, quando avevo 10 anni. A 13 ho voluto conoscere le regole e poi ho giocato e arbitrato contemporaneamente, fino ai 19 anni. Iscritta all’università, alla facoltà di Sport, ho dovuto scegliere, perché non potevo fare tutto. Ero un numero 10 atletico, non sarei mai arrivata a giocare un Mondiale».
Il Mondiale lo ha invece poi vissuto da protagonista in un’altra veste. E adesso si misura senza ansia con gli ostacoli del mestiere: «Quelli tattici, ad esempio la velocità di gioco di squadre come il Psg di Mbappé. E soprattutto quelli di gestione, magari in ambienti complicati come la Corsica. A volte, nell’arbitraggio, si vince con un sorriso, perché è un ruolo in cui si devono maneggiare le emozioni. Serve capire i momenti: essere più duri nelle partite più tese e trovare anche un po’ di complicità coi giocatori nelle partite che scorrono più lisce».
L’emozione del Qatar è ancora viva: «Da donna sapevo di essere attesa, scrutata da mille occhi, di non avere diritto all’errore». Se sia più facile arbitrare gli uomini o le donne, è il dilemma classico: «La differenza vera è tattica e di velocità. Il resto è anche psicologia. Gli uomini sono più competitivi, possono fare gli occhiacci. Le giocatrici sono un po’ più oneste, ma anche tra loro sta arrivando la malizia»
Maria Sole Ferrieri Caputi, ricercatrice universitaria, nei riscontri dei test fisici è spesso tra i migliori. L’ambiente non è un fattore secondario: arbitrare all’Olimpico, ad esempio, non è come farlo a Reggio Emilia e i finali di partita, sempre tesi in A, non sono come le fasi iniziali: «I requisiti necessari per governare una partita mi sono chiari: presenza, calma e tranquillità. Devi essere un punto fermo. La calma devi averla dentro, per poterla trasmettere fuori».
Lo spartito, assicura, non è mai piatto: «Cambiare registro? In ogni partita capita di doverlo fare. Il problema è quando non riesci ad avvertire il momento e puoi andare in difficoltà. Mi è servito il confronto con i modelli, soprattutto quando andavo all’estero e mi confrontavo con le colleghe».
Il calcio femminile, dal punto di vista dell’osservatrice privilegiata, si è alzato di livello: «Ed è vero, come dice Stéphanie, che qualche comportamento malizioso ogni tanto affiora. Arbitrare uomini e donne allena a essere più adattabili». Anche per lei la vita privata è legata al supporto della famiglia: «Il nostro è un equilibrio in divenire, siamo sempre fuori casa. Sacrifici se ne fanno. Ma si può lavorare, studiare, arbitrare e al momento giusto fare le proprie scelte, con una famiglia che ti supporta». L’esigente Maria Sole è molto autocritica: «Riguardo la partita. E se non è andata tanto bene, per due giorni mi considero malata».
La famosa questione lessicale — arbitro o arbitra? — è una trappola linguistica: «In realtà non fa differenza arbitra o arbitro, anche se io preferisco arbitro. Quando mi fecero questa domanda la prima volta, risposi di pancia, per via dei miei trascorsi in prima o seconda categoria: sugli articoli dei giornali usciva la parola arbitra, per sottolineare la cosa con una connotazione negativa. Ora rispondo che non fa nessuna differenza». A 33 anni l’ambizione è legittima, tenendo sempre gli occhi aperti per non sbagliare: «Io aspiro a continuare a fare esperienza in Serie A e in Serie B, perché non è scontato che ti riconfermino: siamo sempre sotto esame».