L’edizione odierna de “La Repubblica” ha analizzato la figura del tecnico dei rosanero Bruno Tedino. Ecco quanto si legge: “Dicono che Bruno Tedino sia un guardiolista convinto. Ma non come quelli che scimmiottano il tiki taka del Barcellona di Pep, piuttosto per le convinzioni di chi sa che solo con il lavoro meticoloso possono arrivare buoni risultati. L’allenatore del Palermo, in quanto tale, non sfugge alla regola di chi si siede sulla panchina più traballante del mondo. Per lui quest’anno il compito non è solo quello di rimanere in sella, ma ha anche l’obbligo di vincere. Già, perché la promozione in serie A è l’unica condizione per la sopravvivenza futura del club senza bisogno di aspettare cessioni, plusvalenze e paracadute. «Non ho paura e non mi pesa la responsabilità di dovere vincere a tutti i costi», ripete sempre l’allenatore, classe 1964 (il 13 agosto ha compiuto 53 anni) a chi gli chiede come faccia a convivere con questo peso. Lui le responsabilità le ha sempre prese e il senso del dovere lo ha respirato in casa. Lui è stato il primo Tedino dal nonno in poi a non entrare nell’Arma dei carabinieri: nonno, papà e zio hanno indossato la divisa, lui pure, ma prima quella da giocatore e poi l’altra da allenatore. E senza perdere mai di vista il senso del dovere imparato in famiglia, visto che parallelamente alla vita sul campo ha portato avanti quella sui libri: prima si è diplomato in economia aziendale e poi ha proseguito gli studi all’università. A costringerlo a scegliere la strada della panchina, ad appena 22 anni, è stato un brutto infortunio. Fino ad allora Tedino aveva seguito le orme di tanti giocatori che sono cresciuti a pane e pallone. Nato a Treviso e vissuto fino a sette anni a Sacile, in provincia di Pordenone, si è trasferito con la famiglia ad Azzano Decimo dove ha tutt’ora casa. In campo è trequartista: uno che deve preoccuparsi sempre di creare l’azione offensiva giusta; il primo a cui affidare il pallone dopo averlo recuperato. Un modo di giocare a calcio che oggi torna nei suoi concetti tattici: recupero palla nel più breve tempo possibile e indice di pericolosità altissimo. Nozioni che ha iniziato a spiegare nel settore giovanile del San Donà nel 1986, subito dopo l’infortunio che lo ha costretto a passare dal campo alla panchina. All’inizio della carriera da allenatore non era molto convinto. Probabilmente era più forte il rammarico per non essere riuscito a continuare a inseguire il pallone sul campo che la voglia di stare dietro a dei calciatori per insegnare gesti che da giocatore gli venivano più facili da fare che da spiegare. Con il passare del tempo, però, si è accorto che quel mondo così totalizzante che immaginava solo da calciatore lo è altrettanto anche da allenatore. Oggi è considerato un database ambulante. Conosce tutto dei giocatori non solo quelli già affermati, ma anche dei giovani promettenti. In fase di costruzione del Palermo Zamparini gli ha fatto vedere una lista di nomi in cui c’erano dieci sudamericani sconosciuti ai più, ma lui sapeva già ruoli e caratteristiche e soprattutto valutazioni di mercato già fuori dalla portata per le casse rosanero. Il proprietario del Palermo è rimasto colpito proprio dalla sua competenza. E pensare che se fosse andata in porto la cessione del club nei tempi pattuiti fra Zamparini e Baccaglini lui oggi sarebbe ancora l’allenatore del Pordenone. Oggi invece si ritrova a guidare una squadra che è stata già ribattezzata low cost e che ha il compito di vincere il campionato di B. Quella serie che lui sognava di raggiungere con il suo Pordenone provando a vincere la Lega Pro e che oggi deve essere solo un campionato di passaggio. «Essere condannati a fare bene è positivo – dice – fa parte della mia vita. Quando mi alzo al mattino so che devo dare il massimo e nel calcio fare il massimo è ottenere i risultati. La paura non fa parte del mio dna, sono abituato a superare qualsiasi difficoltà». L’unica cosa che forse lo ha fatto soffrire un po’ di più è stata staccarsi da sua moglie e dai suoi figli per accettare Palermo. Ma lo ripaga il fatto di guidare la squadra per la quale fa il tifo sua figlia Nicole, 22 anni. «Si è innamorata del colore della maglia da piccola – ha raccontato Tedino – poi ha iniziato a seguire la squadra e adesso è proprio tifosa. Quando ho accettato Palermo non riusciva a crederci». Alle sue dipendenze ha tantissimi giocatori stranieri, alcuni hanno già imparato l’italiano. Agli altri si rivolge in inglese, nonostante al liceo abbia studiato il francese. A dargli respiro internazionale è stata l’esperienza nel settore giovanile della nazionale under 17 e under 18. Scelto per meriti sportivi da Arrigo Sacchi, uno che è stato fra gli ispiratori delle sue idee. «Ha cambiato il calcio – ripete spesso a proposito dell’ex allenatore del Milan – insieme con Guardiola». Sul suo taccuino, però, c’è tanto anche di Conte, Klopp, Spalletti e Guidolin. E Zamparini lo ha ribattezzato già il nuovo Sarri, i tifosi sperano non solo per il suo modo di andare in panchina in tuta”.