Repubblica: “Simone Inzaghi, il predestinato non è più solo il fratello Pippo”

Qualche giorno fa, Simone Inzaghi ha involontariamente fornito la chiave per capire il segreto del suo successo: «Dopo le dimissioni di Bielsa, la Lazio mi ha richiamato. Se fosse stata un’altra squadra ci avrei pensato due volte, vista la situazione complicata, ma questa è casa mia da 17 anni». Già. È vero che “Inzaghino” – da calciatore lo chiamavano così per distinguerlo dal mitico Pippo, suo fratello maggiore – è un allenatore giovanissimo, con le sue 40 primavere, ma conosce l’ambiente biancoceleste come nessuno. Prima la lunga esperienza da giocatore, con lo scudetto 2000 vinto da centravanti titolare, poi sei stagioni – gavetta preziosissima – da tecnico delle giovanili, infine l’occasione sulla panchina dei “grandi”, per sostituire Pioli dopo un derby straperso. Già in quelle sette partite dello scorso campionato Inzaghi aveva dato ragione a chi lo considera un predestinato della panchina, sfiorando la qualificazione in Europa League dopo una stagione sconfortante. Ma il capolavoro è di questi mesi, dall’8 luglio in poi: quel giorno Lotito lo chiamò perché Bielsa si era dimesso prima di iniziare, Simone doveva diventare l’allenatore della Salernitana – tre giorni dopo erano previste firma e presentazione – e invece da un momento all’altro si ritrovò a firmare un contratto annuale (ingaggio inferiore a 500mila euro, con un bonus in caso di qualificazione europea) per la Lazio, il suo sogno. «Si vede che era destino, ma questa panchina l’ho meritata», dice adesso che ha costruito una squadra in corsa addirittura per la Champions. Ci è riuscito con mosse mirate. Prima di tutto, ha spinto per l’acquisto di Immobile in attacco e Bastos in difesa. Il secondo si sta riprendendo da un lungo infortunio muscolare dopo un avvio promettente, il centravanti ex Toro invece è subito diventato decisivo con 9 gol in campionato, più altri quattro con la nazionale di Ventura. Poi ha imposto il reintegro in rosa di Keita, talento senegalese di cui è innamorato: in estate il ragazzo ne aveva combinate di tutti i colori (aveva perfino disertato la partenza per il raduno di Auronzo), ma il tecnico – con l’aiuto del nuovo club manager Peruzzi – è riuscito a inserirlo di nuovo nel gruppo e adesso Keita con Immobile e Anderson forma un tridente tra i migliori del campionato. Anche il brasiliano di ventitré anni è stato rivitalizzato dalla cura Inzaghi: non più solo genio, ma anche buona continuità. Poi il tecnico ha lanciato tre ex Primavera, Lombardi, Murgia e il portiere Strakosha (preferito al più esperto Vargic come sostituto di Marchetti), sfruttando la sua conoscenza del vivaio: «Mi ispiro a Materazzi, che nel Piacenza ebbe il coraggio di farmi esordire giovanissimo», dice. Gli altri maestri sono Eriksson e Mancini, e ha studiato a lungo i metodi del suo ex compagno Simeone nell’Atletico Madrid. Per Inzaghi è importante che le regole vengano rispettate – sa alzare la voce con chi non lo fa – e che tutti si sentano coinvolti nel progetto, non a caso ha utilizzato finora ben 24 giocatori. E sono addirittura 13 i biancocelesti andati a segno, una specie di cooperativa del gol: è record in Serie A. Ma è determinante soprattutto il feeling con i senatori della squadra, da Radu a Lulic, da Biglia a Parolo. Che recentemente ha dettato un concetto significativo: «L’allenatore ci trasmette energia e la sua feroce voglia di vincere: per lui giocherei anche in porta». Inzaghi ha saputo trasformare uno spogliatoio spaccato (la scorsa stagione) in un gruppo capace di divertirsi e di aiutarsi. Così è arrivato a 8 risultati utili consecutivi, è a un passo dalle seconde in classifica e – incredibile ma vero – ha ribaltato le gerarchie familiari: ora è lui l’Inzaghi di successo“. Questo quanto si legge nell’edizione odierna de “La Repubblica”.