L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulle persone che continuano a lavorare nonostante l’emergenza Coronavirus. E’ il caso di Natale Valenti, portalettere catanese, 58 anni, sette ore e mezza di lavoro, di cui cinque in strada, questo mestiere lo fa da trent’anni. Stesso ufficio, stessa zona da attraversare in moto per lasciare buste e pacchi: «si instaura un certo tipo di rapporto con le persone, quasi familiare, se devo consegnare una raccomandata e non trovo la signora a casa faccio un secondo giro. Lo faccio da trent’anni, non smetto di farlo adesso » . Gli è successo proprio ieri: «Avevo due raccomandate da consegnare a una signora anziana che conosco bene, al citofono la prima volta non ha risposto, stavo in pensiero e alla fine del giro sono tornato. Stavolta era in casa, non la finiva di ringraziarmi, probabilmente si è sentita meno sola, abbiamo scambiato qualche parola a distanza. “Ti auguro tanta salute”, ha ripetuto e mi sono commosso. Mai come in questo momento sento di fare un mestiere utile agli altri. Le persone ci salutano e ci sorridono dalle finestre, dai balconi, lo sento quando lo fanno e poi ci ringraziano tanto, per loro se ci sono i postini ancora in giro significa che la situazione è sotto controllo, ce lo dicono pure, ci vedono girare e si sentono rassicurati. Adesso funziona così possiamo imbucare le raccomandate ma dobbiamo chiedere il consenso, i pacchi Amazon invece vengono lasciati nell’androne o vicino l’ascensore, aspettiamo che le persone scendano a prenderli e osserviamo da lontano, ci salutiamo, ci facciamo un segno con la mano. Un segno. È questo l’unico contatto umano che abbiamo in questi giorni. Molta gente è sola, ieri quando ho citofonato a un signore per avvertirlo che era arrivato un pacco mi ha chiesto se volevo salire. Mi si è stretto il cuore ma gli ho spiegato che non era possibile. In tutta la mia vita non ho mai visto niente del genere, fa effetto arrivare in via Etnea e Piazza Duomo e vederle completamente deserte. È surreale». Alle 15 il turno finisce e Natale torna a casa da sua moglie e dai suoi due ragazzi di 18 e 16 anni, entrambi liceali impegnati con le lezioni online, la figlia più grande è di maturità quest’anno, vuole fare il medico e sta sfruttando questi giorni in casa per iniziare a prepararsi ai test: «Parlo con loro, li sprono, guardiamo assieme un film». Sono giorni difficili, soprattutto dopo la notizia dei colleghi morti a Bergamo. «Ci penso, certo che ci penso – dice il postino – ma non possiamo permetterci di abbatterci. Le dico una cosa: questo mercoledì a Catania ha diluviato e sono tornato a casa bagnato fradicio così mi sono buttato subito a letto. Quando mi sono svegliato ho sorriso perché anche lavorare sotto la pioggia mi dà quel senso di normalità di cui ho bisogno».