Repubblica: “Russia autarchica. La fuga dei campioni non ferma lo sport”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sullo sport in Russia.
Una normale domenica di calcio. Tre giorni fa, alla Vtb Arena di Mosca, il derby Dinamo-Spartak si è giocato davanti a 20 mila persone e hanno vinto gli ospiti, guidati in panchina da Paolo Vanoli. «Io e il mio staff restiamo qui, credo che il calcio possa portare un messaggio al mondo» ha detto l’ex terzino del Parma, allo Spartak da dicembre. Il calcio è tornato a Krasnodar e Rostov, dove non si era giocato solo il 27 febbraio.
Le due città sono a meno di 200 km dal confine ucraino. È stato anche un normale lunedì di basket con Enisey-Lokomotiv Kuban e Saratov-Cska, posticipi del 15° turno di VTB League, campionato abbandonato, a guerra iniziata, dagli estoni del Kalev-Cramo. Ieri in Russia si è giocato a volley, a hockey. In una dimensione temporale distopica e allucinata, dovunque tra San Pietroburgo e Vladivostok lo sport continua come se la guerra non ci fosse. Non si sono fermati i popolarissimi gordkì, bandy, pekar, con i loro tornei semi-amatoriali che richiamano spettatori, praticanti e notevoli giri di scommesse — mentre da noi la Snai ha bloccato tutte le giocate sui campionati russi e bielorussi. Vanno via solo gli stranieri. L’ultimo è stato il georgiano Toko Shengelia, centro ex Cska approdato alla Virtus Bologna: «Non posso più giocare per la squadra dell’esercito russo». Otto calciatori hanno lasciato il Krasnodar. La via dell’estero per gli stranieri è aperta — la Fifa permette lo svincolo e la possibilità di accasarsi altrove entro il 7 aprile —, anche se, intervistato da Gazeta, l’ex attaccante della nazionale Dmitry Bulykin ha detto, sprezzante: «Non conviene a nessuno andarsene, non troverebbero altrove stipendi altrettanto generosi».