Repubblica: “Rosario Argento «La mia vita in rosa alla scoperta dei talenti del futuro»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni di Rosario Argento, responsabile organizzativo del settore giovanile del Palermo: «Questa è la terza volta che lavoro per il Palermo.Quando andai via dalla società di Zamparini nel 2013 ero dispiaciuto perché si era chiuso un ciclo e avevo capito che non ci sarebbero stati più investimenti. Ora nel Palermo dei palermitani c’è spazio pure per me». Argento, lei ha vissuto tre Palermo diversi. Ce li racconta?
«Arrivai la prima volta nel 1990 e rimasi fino al ‘96: entrai con Franco Peccenini. Il presidente era Salvino Lagumina e l’idea della società era quella di creare una scuola calcio. Per farla servivano tecnici qualificati e io all’epoca ero fra i pochi ad avere i tesserini Uefa. Poi nel ‘96 andai via, nonostante avessimo raggiunto grandi risultati. Con la Primavera arrivammo terzi in Italia, eliminati dal Parma di Buffon con un gol all’ultimo minuto e dopo avere battuto 5-1 il Brescia dei Filippini, Baronio e Pirlo. Con noi giocavano Lucenti, Tasca, Sicignano, Tedesco, Ignoffo: era una squadra fortissima». Perché andò via? «C’erano difficoltà economiche. La società vendette Giacomo Tedesco e Giorgio Lucenti per iscriversi al campionato. Non c’era più possibilità di sviluppo e quel Palermo scivolò fino alla C2, salvo poi essere ripescato. Andai a fare l’osservatore prima all’Udinese di Bierhoff, poi al Brescia promosso in A». La sua seconda volta? «Quando arrivò Sensi. Mi chiamò D’Antoni che era stato il mio presidente al Calcio Sicilia. Perinetti mi affidò la ricostruzione del settore giovanile, era il 2000 e il nostro primo successo fu lo scudetto Berretti con Rinaudo, Ciaramitaro, Di Vincenzo, Perna: un’altra gran bella squadra. Con l’arrivo di Zamparini, che ci confermò tutti, seguimmo un percorso con programmazione e buone possibilità economiche». E nel 2009 arrivò lo scudetto Primavera.
«Fu un traguardo storico sotto la guida di Pergolizzi. Ci eravamo già andati vicino, cedendo il passo solamente a Juventus e Inter. Ci misuravamo con giocatori del calibro di Giovinco, Marchisio e Balotelli. Siamo rimasti sulla cresta dell’onda per un po’, ricordo la finale di Coppa Italia con il Milan con tredicimila persone al “Barbera” e il ritorno a San Siro seduti con Frederick Massara e Luca Cattani, accanto ad Adriano Galliani e Ariedo Braida. Poi si cambiò strada, si puntò su giocatori stranieri e si perse il progetto territoriale dello scudetto dei palermitani. Andai a collaborare con Sagramola sia alla Sampdoria che al Brescia prima di riavvicinarmi questa estate ai rosanero». È vero che il suo nome circolava già prima che il Palermo fallisse? «Tutti quelli che si avvicinavano al Palermo facevano il mio nome. Lucchesi voleva che rientrassi, Perinetti pensava a me, ma avevo già fatto un percorso con Mirri e Sagramola per creare una seconda squadra: volevamo rilevare il Cus, creare una base forte con il settore giovanile e partire dall’Eccellenza. Poi di colpo ci siamo ritrovati di nuovo in rosanero. Il 7 agosto non avevamo giocatori: ma con l’entusiasmo contagioso di Mirri ci siamo sbracciati e siamo ripartiti». Quanti giocatori avete visto durante i provini? «Circa 1.200 ragazzi in un mese. Ai primi di settembre avevamo già cinque gruppi. Avremmo potuto fare solo la Juniores, ma abbiamo allestito cinque squadre con due di esordienti per creare la base per gli anni futuri. Per risalire serve un settore giovanile forte». Il vostro lo è? «Abbiamo squadre ai vertici in tutti i campionati regionali che stiamo facendo, ma l’obiettivo è dare più giocatori possibile alla prima squadra. Intravediamo buone possibilità e siamo moderatamente soddisfatti. Il lavoro è stato tanto, ma ancora dobbiamo crescere. Se avessimo il centro sportivo potremmo lavorare meglio». Che effetto le fa vedere in giro per il mondo giocatori che sono usciti dal suo settore giovanile? «Sono in contatto quasi con tutti. C’è un legame particolare. È quasi un orgoglio da papà. Sirigu per esempio arrivò piccolissimo da Venezia, spesso veniva a casa mia, lo coccolavo come un figlio. Lo vedo in Nazionale e penso che un piccolo contributo l’ho dato anch’io. Oppure Liverani che era nella nostra Primavera e oggi allena in A. Ho pensato a loro quando abbiamo fatto sfilare i piccolini che hanno vinto il “Costa Gaia” e i tifosi li hanno applauditi come se avessimo vinto un trofeo importantissimo. Per certi versi lo è perché è il primo del nuovo Palermo. Pensare che nella rinascita ci sono pure io mi riempie d’orgoglio». Che ricordo ha di Franco Marchione? «In tutte queste storie che ho raccontato, Franco è stato sempre presente. Lui con il suo vocione. Te lo ritrovavi sempre per qualunque cosa ed era un punto di riferimento per i giocatori. Era tifosissimo. Gli diedi l’incarico di responsabile dei raccattapalle perché voleva stare dietro la porta degli avversari per abbracciare per primo i giocatori che facevano gol. Con Sagramola gli abbiamo regalato la divisa che non è mai riuscito a provarsi per le sue condizioni di salute. Purtroppo è riuscito a indossarla solamente adesso che non c’è più».

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Redazione Ilovepalermocalcio