L’edizione odierna di “Repubblica” dedica spazio a Isidoro Meli, autore de “La Mafia mi rende nervoso”, che ha parlato dei suoi ricordi legati alla sua squadra del cuore, cioè il Palermo: «Ho visto Mimmo Di Carlo con i capelli. E ho avuto il privilegio, a diciassette anni, di vivere allo stadio la stagione del Palermo dei Picciotti. È di loro che voglio raccontarvi. Del 4 novembre 1995. La storia la conoscete tutti: società presa per i capelli dal fallimento, allenamenti sulla sabbia del lungomare di Mondello (altro che ritiri tra i laghi e le foreste mittel europee), poche lire per allestire la rosa, unica certezza un allenatore reduce da una bella stagione alla guida del Trapani e già gloria cittadina per i trascorsi da calciatore: Ignazio Arcoleo. […] È l’undicesima giornata e la squadra è imbattuta. Il Palermo è quarto e lo è meritatamente, la sera che la Pistoiese arriva alla Favorita. Una vittoria significherebbe secondo posto e cominciare a sognare sul serio. Non è complicato. Basta giocare come stiamo giocando, palla a terra e corsa sulle fasce. E invece. Invece arriva un diluvio novembrino, pioggia a secchiate dal pomeriggio fino a sera. Io e mio padre non sappiamo che fare, “andiamo o non andiamo?”, ” tanto l’annullano sicuro”, alla fine andiamo perché non si sa mai. Facciamo bene. Lo stadio è pieno di gente. Fradicia di pioggia e speranze. Il prato è ridotto peggio di un campo di patate dopo la vangatura. Altro che palla a terra e corse sulle fasce, altro che dribbling di Vasari e Giacomino dai piedi di velluto ( il preferito di mio padre, per una questione di imprinting: è il primo rosanero dopo anni a cui vede stoppare di coscia una palla che cade a campanile da cinquanta metri). Altro che ragazzini. È una serata in cui ci vuole altro. Ci vogliono grinta e scagghiuna.
Ma i ragazzini se l’accollano. Ci mettono tutto quello che ci vuole, la grinta, gli scagghiuna, l’energia folle, i piedi buoni. […] Poi arriva il minuto 83: Giacomo Tedesco raccoglie un pallone fuori area e tira un sinistro basso e secco, una deviazione mette il portiere fuorigioco, il pallone va in porta con una parabola velenosissima e mentre tutto lo stadio è già in piedi ad esultare, cozza contro la traversa. Perché è una cazzo di partita da zero a zero. Ma non c’è neanche il tempo di rassegnarci. Il pallone rimbalza e Tanino Vasari è già a mezz’aria, coordinato alla perfezione, pronto per il rimpallo. Girata al volo, faccia nel fango, uno a zero. E lo stadio esplode.
Io vorrei buttarmi nella pozza insieme ai giocatori, sbucciarmi le ginocchia e riempire di fango i miei capelli e restare disteso lì a guardare il cielo novembrino. Invece guardo mio padre, il tifoso più snob che io conosca. È raggiante, felice come un bambino. Siamo tutti bambini in quel momento, tutto lo stadio, tutti i tifosi, tutta la città. Tutti quanti sporchi di fango fino ai capelli e felici come bambini. Per questo lo chiamavano Palermo dei picciotti. Perché ci rendeva tutti bambini. Tutti fratelli e figli di Palermo.