“Tre giornate, 0 punti. È iniziata in salita l’avventura del Crotone in A, ma la partita più importante per i rossoblù si gioca stamattina in un’aula della Corte d’appello di Catanzaro, dove i giudici dovranno decidere se la società che controlla la squadra è in mano ai clan. Il procuratore aggiunto Bombardieri e il pm Guarascio, ne sono convinti. Per loro, il patron del Crotone, Raffaele Vrenna e il fratello Giovanni sono imprenditori di mafia, così socialmente pericolosi da meritare 5 anni di sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza. Per lo stesso motivo, il loro impero, pesante 800 milioni di euro, deve passare in mano allo Stato.
Assurdità, sostiene la difesa: Raffaele Vrenna non è un colluso, è una vittima. Quando è stato accusato di concorso esterno – ricorda l’avvocato Gambardella – ha strappato un’assoluzione in appello per insussistenza del fatto. Contro le sue aziende ci sono stati quasi 40 danneggiamenti e attentati, tutti regolarmente denunciati. Si è costituito parte civile. Argomentazioni convincenti per i giudici di Crotone, che il 16 gennaio scorso hanno rigettato la richiesta di sequestro Dda. Una sentenza «illogica» per i magistrati di Catanzaro che, contro quella decisione, hanno fatto ricorso ribadendo che i patron del Crotone «sono imprenditori attigui al fenomeno mafioso per essersi sin dalla genesi della loro attività accordati con le consorterie criminali e segnatamente con quella Vrenna-Corigliano-Bonaventura». A raccontarlo ci sono anche diversi pentiti, come Luigi Bonaventura, nipote del boss Luigi Vrenna. Il patron del Crotone smentisce parentele o conoscenze, ma il collaboratore afferma di essere stato lui ad assicurarsi che nessuno desse fastidio alle imprese del patron del Crotone, impegnate in un appalto a Cosenza. Ad occuparsi materialmente di parlare con i responsabili di zona è stato però un altro pentito, Domenico Bumbaca. Ex calciatore, poi pusher per i clan crotonesi e leader degli ultras del Crotone, quando parla con i magistrati Bumbaca non ha dubbi: i Vrenna sono sempre stati vicini all’omonimo clan e «in particolare a Giuseppe Vrenna». Lui – racconta – li conosce dagli anni ‘90, quando si rivolgevano alla ‘ndrangheta per aggiustare gare, gestire il mercato, ammaestrare la curva. Bumbaca lo sa, perché è stato personalmente richiamato dopo uno sciopero del tifo. «Ma io gli ho detto: Raffè, la ‘ndrangheta è una cosa, il calcio un’altra. Non ti ho fatto la protesta per una cosa personale, l’ho fatta perché la squadra va male». Dichiarazioni importanti per i pm di Catanzaro, per i quali però la prova più cristallina della pericolosità sociale di Raffaele Vrenna sta nelle parole dei giudici che lo hanno assolto. Vrenna «è accecato dalla brama di profitto», pur di tutelare i suoi interessi «è disposto a tutto, a commettere falsi e abusi e fare affari con persone che sa o intuisce essere losche (rectius ‘ndranghetisti) ma tutto ciò, nei suoi piani, è di importanza secondaria». Per i magistrati che vogliono sequestrare il suo patrimonio invece no”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.