“Invadendo il campo insidiosissimo e per me ostico del calcio, mi affretto a premettere che non sono un tifoso tra i più accesi. Ma, da palermitano verace, ho sempre avuto a cuore i colori della nostra squadra, la struggente e ossimorica bicromia che così bene esprime i contrasti dialettici della città: l’aurorale e muliebre rosa insieme al notturno e fatale nero. Né mi sono mai sentito tanto solidale con il mio compagno di scuola Fulvio Abbate, l’autore dell’indimenticabile “Zero Maggio a Palermo”, come quando ha fieramente e durrutianamente contestato alla Juventus il diritto di indossarli come seconda divisa. Ebbene sì, sono quello che si potrebbe definire un tifoso sentimentale (che in qualche modo è una contraddizione, se non addirittura un nonsense). Confesserò dunque di essere uno di quei nostalgici affezionati alla cara vecchia Favorita, allo stadio-vulcano in cui si giocarono le epiche sfide dei miei beniamini ai tempi della mia adolescenza, certamente più incline alle febbri tifoidee. Temo e depreco, quindi, i propositi di erigere un nuovo stadio, certamente più bello e funzionale, più confortevole e telegenico, di cui si è fatto attivo promotore il presidente Zamparini, ottenendo l’avallo del sindaco e l’assenso dell’aspirante patron italoamericano, Frank Cascio, venuto a compiere un preliminare sopralluogo. Non tutto il mio disaccordo si può tuttavia ricondurre a una saudade crepuscolare. C’è un problema ulteriore, che attiene pure alla memoria, alle sue ombre, ma ha anche altre radici civiche e diverse motivazioni. Il nuovo stadio dovrebbe sorgere infatti laddove oggi langue il velodromo intitolato a Paolo Borsellino: un bellissimo impianto, sebbene abbandonato a un malinconico declino, realizzato a partire dal 1989 con i fondi destinati ai Mondiali di calcio del 1990, di cui Palermo era una delle sedi. Inizialmente intitolato a San Gabriele (dal nome del fondo in cui furono poste le sue fondamenta) fu poi reintestato al giudice Borsellino, a ragione della sua passione per il ciclismo. L’eccidio di via D’Amelio lo ha reso quindi una sorta di altare, consacrandolo a simbolo della resistenza antimafiosa. In via Lanza di Scalea, tra rettifili e rotonde alberati, il velodromo spicca per la sua linea elegante, avvolta nel verde, e per la sua vocazione tradita da un destino beffardo. Raramente utilizzata (ricordo, tra poco altro, le Universiadi del 1997) la sua struttura ovale si presterebbe alla pratica anche di altri sport eterodossi, per così dire, come il Rugby e il Football americano (di cui ha ospitato un campionato mondiale) ed è provvisto anche di una pista di 400 metri. Insomma, sopprimerlo sarebbe uno spreco. Perfino un oltraggio. Possibile che non si voglia investire sul ciclismo o su discipline da noi considerate minori ma che potrebbero dare respiro al movimento sportivo e giovanile nostrano? E mi domando, soprattutto, quale sarà il nome del nuovo stadio calcistico. Manterrà l’intitolazione a Paolo Borsellino? Me lo auguro. Ma anche se così fosse, che ne sarà dell’altro nome con cui ormai dal 2002 si designa lo stadio della Favorita, cioè Renzo Barbera, il grande presidente che negli anni Settanta guidò il Palermo a traguardi che raramente in seguito gli arrisero. E che ne sarà dello stadio di Viale del Fante, inaugurato nel 1932, poi ristrutturato e ampliato nel 1948 e quindi ulteriormente potenziato e ammodernato per i Mondiali del 1990, mantenendo, per disposizione della Sovrintendenza ai Beni Monumentali, l’ingresso principale originale, progettato dall’ingegnere Giovan Battista Santangelo? Sarà condannata all’obsolescenza questa pagina della nostra storia? O addirittura alla demolizione? Dobbiamo rottamarla? A tutto questo, suppongo, si è già dato una risposta. Peccato che non se ne parli abbastanza. Mi rendo conto che sto trattando, un po’ a vanvera, di questioni che a molti potrebbero sembrare archeologiche e del tutto inadeguate alle esigenze del calcio moderno, che è anzitutto business. D’altronde è successo anche in passato che la squadra, crescendo con la città, dovesse abbandonare luoghi ormai mitici come il “pantano” di via Notarbartolo o il Ranchibile, divenuti troppo angusti e inadeguati. Ma francamente, mentre la nostra amata squadra, dopo un paio di campionati piuttosto incerti, torna in lizza per difendere la permanenza nella massima serie, mi sembra più auspicabile che il Renzo Barbera alla fine risulti troppo stretto per una compagine vincente, piuttosto che un nuovo mega-stadio si riveli uno sforzo e una pretesa eccessivi per i limiti di una provinciale”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.