L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni di Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico. Ogni settimana una nuova stretta. L’impressione è che si vada a tentoni. «Non è così, tanto che l’Italia è diventata un modello di riferimento per gli altri Paesi che stanno adottando le nostre stesse misure. Quando abbiamo chiuso le scuole ci osservavano con diffidenza, adesso lo stanno facendo tutti».
Al nord le conseguenze sono pesantissime. Le azioni sono arrivate comunque troppo tardi?
«Ci basiamo sul confronto quotidiano che abbiamo con il comitato tecnico scientifico e con l’Istituto superiore di sanità. Le misure sono arrivate nei tempi dettati da questo confronto».
Per i sindacati avete chiuso troppo poco. Minacciano lo sciopero generale.
«Abbiamo analizzato le richieste e siamo giunti ad una sintesi soddisfacente. A guidarci sono il principio di precauzione e la tutela della salute pubblica».
Avete ceduto alle pressioni di Confindustria?
«No. Anche perché c’è un grandissimo senso di responsabilità di tutti i settori produttivi e dei singoli imprenditori».
Ma cosa chiude rispetto a prima? «Tutta la metallurgia, tutta la fabbricazione di prodotti di metallo. Della fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica — che conta 24 codici — ne resta aperto solo uno. Resteranno aperte il 35% circa delle attività».
Che senso ha chiudere in Basilicata come in Lombardia?
«Per quanto non ci sia una curva così ripida come quella della Lombardia, per evitare di avere picchi di crescita è necessario agire ovunque».
Perché un annuncio a notte fonda lasciando tanta incertezza? «Nei primi due giorni di questa settimana le aziende possono restare aperte per predisporre la chiusura, che deve avvenire comunque entro mercoledì mattina. La necessità di avvisare il Paese di quello che stavamo facendo segue un principio di trasparenza e chiarezza che il presidente del Consiglio e il governo stanno mettendo al centro della loro azione».
Ma la nuova stretta non mette a rischio le filiere protette? «Abbiamo un allegato che individua i settori che devono restare aperti. Laddove vi fosse un’attività che non è espressamente indicata, ma che serve una filiera essenziale, può continuare a operare comunicandolo al prefetto. Che ha la possibilità di bloccarla, se non ci sono i requisiti, ma in assenza di un intervento la produzione può continuare».
Il divieto di circolazione al di fuori del proprio comune è senza precedenti. È davvero necessario, visto che il 95% degli italiani rispetta le regole? «Il virus si muove con le persone. Più si limita la loro circolazione e più si limita la diffusione del contagio. Siamo consapevoli che stiamo chiedendo grandi sacrifici ai nostri cittadini, ma è una battaglia che possiamo vincere solo se ognuno di noi fa la sua parte».
Ci sono aziende che rischiano di non riaprire: come interverrete?
«L’esigenza che dobbiamo garantire alle imprese è quella della liquidità. Su questo sarà necessario intervenire ulteriormente e dovremo anche allungare i tempi della restituzione dei finanziamenti che faremo».
Quando le nuove misure?
«Nelle prossime settimane faremo due provvedimenti: uno guarda ad alcuni settori in cui dobbiamo prepararci a cogliere la ripresa delle attività. Dobbiamo pensare a un decreto crescita bis che contenga l’ecobonus al 120%, la banca pubblica degli investimenti, lo sblocco dei cantieri sul modello Genova. Poi dovremo utilizzare altre risorse per continuare il percorso iniziato con il decreto da 25 miliardi».
Davanti agli 822 miliardi cui sta pensando la Germania i nostri 25 sembrano inadeguati.
«Quelli della Germania sono legati a provvedimenti futuri di leva finanziaria. Il nostro decreto ha una leva finanziaria da 340 miliardi e come ho detto non sarà l’ultimo”.
Il quantitative easing, la sospensione del patto di stabilità, ci metteranno in grado di affrontare la crisi economica? «Serve senz’altro un ulteriore intervento. C’è la volontà della commissione europea di intervenire immediatamente a garanzia della liquidità dei settori produttivi, non solo con l’acquisto di titoli di Stato, ma anche con uno sradicamento della regola sugli aiuti di Stato. E si sta andando verso la realizzazione degli eurobond che sono uno strumento essenziale».
Ma che divide.
«Non possiamo affrontare questa crisi mondiale con i Paesi che guardano solo al loro orticello, sarebbe la disgregazione definitiva dell’Unione europea».
State lavorando a riconversioni che aiutino il settore sanitario in difficoltà?
«Assolutamente sì. Al momento più di 800 aziende ci hanno dato disponibilità. 100 possono partire subito e sono incentivate con i 50 milioni del decreto Cura Italia. Da qui a 30 giorni avremo la capacità produttiva di 75 milioni di mascherine al mese: due terzi di quelle chirurgiche e un terzo di tipo FFP2 e FFP3. Intanto il ministro Di Maio fa un lavoro eccezionale per l’approvvigionamento da parte degli altri Paesi».