L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla possibile cessione della Roma. Otto anni, otto allenatori, 810 milioni di euro spesi nel calciomercato e zero titoli: la Roma si avvia al crepuscolo della gestione di James Pallotta. La nuova alba sarà illuminata dal magnate texano Dan Friedkin e dal suo Friedkin Group, che sta chiudendo gli accordi per rilevare il controllo – verosimilmente il 51% – del club giallorosso. Un affare da 510 milioni di dollari circa (compreso l’aumento di capitale da 130 milioni) visto che il 100% della Roma è valutato da Pallotta un miliardo. Se Pallotta è arrivato al punto di cedere è proprio perché le cifre di cui si parla sono irrinunciabili. Ma anche a causa del progetto stadio: immaginato per incrementare i ricavi e sfidare la Juve, si è trasformato in elemento di frustrazione bruciante. Dal gennaio 2018, l’iter si è impantanato, impedendo di arrivare al via libera alla costruzione. Ma lungo la strada sono comparsi ostacoli imprevedibili: la caduta del sindaco Marino, che con Pallotta aveva impegnato la propria parola, poi il commissariamento del Comune, la riforma totale del progetto imposta dalla giunta Raggi , gli arresti del costruttore Parnasi, proprietario dell’area su cui lo stadio deve sorgere, e del presidente del consiglio comunale De Vito (entrambi scarcerati, oggi). Gli ottimisti dicono che tra Natale e gennaio arriverà il via libera all’inizio dei lavori per la casa della Roma: tardi però. Più che per Pallotta, per gli investitori alle sue spalle. Che a 5 anni dalla presentazione del progetto stadio in Campidoglio, hanno detto stop: «È ora di rientrare».